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Rilettura in famiglia
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Nota. Ho trovato nel mio archivio degli appunti sul capitolo 3 della Prima Lettera di Giovanni (2° Lettura) nati da una Settimana Biblica a Bose con Sabino Chialà. Ho pensato di allegarli alla riflessione sul Vangelo.

Dagli Atti degli Apostoli (4,8-12) (Apri la versione PDF)

In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:

«Capi del popolo e anzia­ni, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato.

Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventa­ta la pietra d’angolo.

In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Salmo 117 1.8-9.21.23.26.28-29) (118)

R. La pietra scartata dai costruttori è dive­nuta pietra d’angolo.

Oppure:

R. Alleluia, alleluia, alleluia.

Rendete grazie al Signore perché è buo­no,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confida­re nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signo­re
che confidare nei potenti. R.

Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
per­ché sei stato la mia salvezza.
La pietra scar­tata dai costruttori
è divenuta la pietra d’an­golo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi. R.

Benedetto colui che viene nel nome del Si­gnore.
Vi benediciamo dalla casa del Signo­re.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signo­re, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre. R.

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apo­stolo (3,1-2)

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha co­nosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Dal vangelo secondo Giovanni (10,11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non ap­partengono - vede venire il lupo, abbando­na le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pe­core che non provengono da questo recin­to: anche quelle io devo guidare. Ascolte­ranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Pa­dre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

In ascolto della Prima Lettera di Giovanni (2° Lettura)

Il capitolo 3 si apre con un tono di stupore. Giovanni invita la sua chiesa a stupirsi: idete... guardate, vedete.... Si stupisce l'autore e invita a stupirsi davanti al dono per eccellenza che Dio ha fatto all'uomo. Qui sta per Giovanni la manifestazione massima: il fatto che ha chiamato e ha reso l'uomo realmente suo figlio. E' una figliolanza che rende intimi di Dio al punto che chi non conosce Dio non può conoscere neppure coloro che gli appartengono.

Quasi a dire: di che cosa vi meravigliate se non vi comprendono? Non hanno compreso neppure me. Ma questo che può essere un ragionamento un po' settario, in realtà vuol dire: Perchè vi stupite di non essere riconosciuti? Il vero problema non è che voi non siete riconosciuti; il vero problema è che non hanno riconosciuto me, meglio: il vero problema è che voi non riconoscete me! Il discorso non è più settario nella misura in cui i cristiani si mettono in gioco e nella dinamica della Prima Lettera di Giovanni sono loro che sono invitati a mettersi in gioco, cioè a verificare se sono dei veri cristiani. Noi non mai possiamo intenderci come comunità ecclesiale ormai al sicuro.

La vocazione cristiana, dunque, è essere figli in pienezza. Ma su questo argomento l'autore crea una sorta di tensione tra un già e un non ancora. E' come se di questa tensione lui facesse quasi una icona della vita cristiana. Dice: Amatissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Che cos'è la vita cristiana se non il diventare sempre più consapevoli della propria figliolanza? Noi non siamo ancora figli in maniera manifesta e la nostra vita è proprio questa fatica del divenire, dello scoprirci figli di Dio. 

Com'è che si diventa figli? L'autore risponde: Accogliendo il Figlio. Si diventa figli semplicemente accogliendo il Figlio. E' lui che ci abilita a diventare figli, ci rende figli. E lo siamo sempre di più, man mano questo Figlio entra nella nostra esistenza. Credere che Gesù è il Messia, il Figlio, è il modo, per Giovanni, attraverso il quale noi entriamo nella nostra figliolanza. Tra le righe sembra dirci che noi non solo siamo invitati a credere che Gesù è il Figlio, ma anche a credere che noi siamo figli. E noi abbiamo la certezza di essere figli accogliendo il Figlio.

Giovanni qui ci sta dicendo che l'Incarnazione ha anche il fine di ricordarci che noi siamo figli. Gesù che si incarna ci rivela che noi siamo figli come lui è figlio; figli nella nostra carne. E quando ritornerà, si sarà manifestato, ci renderà simili a lui: come lui è simile al Padre. La rivelazione ultima di Dio apre alla nostra rivelazione. Il Dio che si incarna rivela la nostra qualità filiale. Cristo, il Figlio, diventa l'immagine, diventa il typos, del nostro essere figli. Di qui l'importanza di credere e di dimorare nel figlio: dimorando in lui capiamo chi siamo noi, capiremo la nostra vocazione guardando la vocazione del figlio.

Interessante come avviene questa nostra affiliazione. Non avviene come per incanto, ma tramite la contemplazione del Figlio: Saremo come lui perchè lo vedremo così come egli è. Vedendolo si diventa come lui. E’ contemplando lui che noi siamo trasformati a sua immagine. Contemplando il Figlio, noi diventiamo il figlio. Questo può avere anche una valenza per l’oggi; Giovanni è molto concreto anche se sembra volare, sembra fare del puro filosofare. Giovanni vuol dire che per diventare figli è necessario oggi contemplare il Figlio, oggi intrattenersi con Lui.

In ascolto del Vangelo

Il brano del Vangelo ci riporta una parte del capitolo 10 di Giovanni. E’ il brano in cui Giovanni crea un parallelismo tra Gesù e il pastore. Nelle Scritture Ebraiche, la figura del Pastore è riferita ai personaggi più significativi. Anzi, Dio stesso è visto, alla fin fine, come Colui che si prenderà cura del suo popolo, come il Pastore del suo gregge, dal momento che tutti gli altri hanno fallito il proprio mandato.

Io sono il buon pastore: non è certo senza una punta di polemica questa affermazione di Giovanni. Come dire: adesso è arrivato un vero pastore che risponde a tutte le aspettative: di Dio e del popolo!

In lingua greca il testo suona così: egò eimì o poimén o kalòs: Io sono il pastore quello buono-bello. E’ l’aggettivo che scandisce ogni singolo giorno della creazione. Questo spiega l’insistenza di Giovanni nell’abbinare il compito del pastore buono-bello con il suo obiettivo di voler a tutti i costi garantire la vita del gregge.

Mi soffermo a contemplare questo passaggio: ...offrire e riprendere la vita... Alla fin fine, sarà una riflessione sulla croce.

Il Pastore che “offre” e “riprende” la vita: tre stradine

  1. Il tema della vita è sempre legato a Gesù Cristo, è la così detta “concentrazione teologica.”
    E’ Cristo e soltanto Cristo che incarna la vita di Dio, la rivela, la comunica a noi o la manifesta; è unicamente andando a Cristo che l’uomo raggiunge la pienezza che va cercando e che non trova altrove.
    Questa è la tesi di fondo: «Io sono la via, la verità e la vita» (Giovanni 14, 6), cioè Egli è la via che conduce al Padre. Perché? Perché lui è l’incarnazione storica, concreta, raggiungibile della vita che c’è in Dio,
    che è dialogo di comunione e di amore. La vita di Dio è amore, è la comunione tra Padre, Figlio e Spirito. Il Cristo è l’incarnazione storica, visibile, umana di questa vita di comunione. Proprio perché ha in sé la vita di Dio diventa la VIA che conduce a Lui; si deve passare di lì per trovare la vita.
    Il Vangelo di Giovanni dice che il Padre ha la vita in sè stesso, ha dato al Figlio di avere la vita in sè stesso e il Figlio la dona agli uomini; siccome ce l’ha può darcela. Il Vangelo di Giovanni non ci dice mai che il Padre ci dà la vita; il Padre ama il mondo, ma la vita ci viene attraverso Gesù Cristo, sempre, e non dice mai che l’uomo dà la vita; l’uomo è il destinatario di questo dono della vita. Qui sappiamo che Gesù può dare la vita perchè si è consegnato completamente a Dio, permettendo alla vita di Dio di manifestarsi pienamente in Lui.
  1. La parola “vita” è spesso accompagnata dalla parola eterna. Vita eterna. Alle volte c’è vita senza niente, altre volte vita eterna. Altri aggettivi, per Giovanni non esistono da applicare alla vita. Vita o vita eterna vuol dire diverse cose: esempio che una vita che dura, c’è l’idea di durata. C’è una vita friabile che non dura, la vita eterna è una vita che dura.
    Sbaglieremmo se intendessimo vita eterna come vita futura; c’è anche questa idea in Giovanni, ma non è così forte. Vita eterna perchè vita di Dio che già possediamo. L’aggettivo “eterno” in Giovanni, non vuol dire solo durata; per Giovanni questo aggettivo indica la qualità della vita; è la vita di Dio che è già presente in noi. Giovanni sottolinea molto questa presenza. Anche quando sembra opporre corpo a spirito non vuol dire una vita più alta rispetto a quella del corpo, non è in questa linea che vanno intese le cose. Ma quello che si vuol sottolineare è la vita dello uomo abbandonato a sè stesso, costruita secondo schemi umani: questa vita carnale non resiste. Mentre quello che conta è la vita dono di Dio, che diventa la tua vita gestita secondo i criteri di Gesù Cristo: questa è la vita eterna, la vita che dura.
    Ad esempio, cap,12,25: c’è una specie di contrapposizione: «Chi ama la sua vita (psuchè, vita terrena) “esistenza” la perde; chi odia la sua esistenza in questo mondo lo conserverà per la vita, vita eterna». C’è una contrapposizione non tra la vita dell’anima o la vita del corpo; Non si vuole assolutamente dire che chi rinuncia alla vita del corpo avrà la vita dell’anima, non è questo. La contrapposizione è tra due modi di gestire “anima e corpo”, cioè la vita: se tu conduci una esistenza nel corpo e nello spirito vissuta nella conservazione di te, muori! Se invece conduci un’esistenza nello spirito e nel corpo, come il Cristo, in dono, la ritrovi.
    Nel Vangelo di Giovanni si sottolinea con forza che per entrare nella vita devi entrarci gratuitamente, perché la vita è dono; la vita è un dono gratuito, nessuno è venuto al mondo da solo. L’atto che ci ha costituiti è un atto di pura gratuità, di cui noi possiamo essere contenti o arrabbiati, ma certo noi non abbiamo proprio fatto niente. Così nel mondo di Dio si entra gratuitamente, come dono.
  1. Tutto il Vangelo di Giovanni sviluppa il dramma della vita e della morte. Gesù viene a dare la vita, compie segni di vita, ma è ostacolato, ci sono gli avversari che rifiutano la vita.
    C’è qui l’essenza dei racconti drammatici: il protagonista deve compiere l’impresa, ci sono gli avversari che l’ostacolano e i casi sono due, o il protagonista vince o perde. Qui sono chiaramente visibile tutti gli elementi del dramma umano.
    Tutto il Vangelo di Giovanni può essere visto come il dramma della vita e della morte: è il dramma di Gesù Cristo, è il dramma della storia umana, della nostra esistenza. Bene, in tutto questo dramma, il punto centrale e risolutore è ancora una volta la croce che è per un verso il punto dove il dramma giunge al suo vertice, perché l’opposizione è giunta al punto di uccidere il datore della vita, quindi è il punto più basso della vittoria del Cristo, ma proprio quello che è il punto più basso diventa il punto risolutore. La chiave che fa cambiare il panorama è la croce. Difatti nell’esistenza dell’uomo l’unica chiave che fa cambiare panorama di vita è la croce: o sei convinto che l’amore sembra sconfitto, ma in realtà risorge e allora nella tua vita puoi dire che c’è un senso; oppure tu non accetti questo, non accetti che la sconfitta per amore si tramuta in vittoria. O chiudi gli occhi e dici: <<l’amore vince>> anche se perde da tutte le parti, oppure dici: «E’ tutto sprecato!»... e più nulla ha senso, se non quello che vale nell’immediato. Questa la chiave di volta!

Conclusione

E’ tutto qui il gioco della fede, il gioco del discepolo. Come il suo Maestro, come il Pastore buono-bello, il discepolo accetta di offrire la vita come condizione “garantita” per poterla riprendere.

Noi siamo la Comunità del Buon Pastore, quella che va dietro al Pastore bello-buono...che ha offerto...ripreso la vita... Tutto il resto fa parte di un mestiere mercenario!!!

Proposta di contemplazione…

Le pecore…conosceranno la mia voce… Il testo greco dice: le pecore… conosceranno il mio suono (il suono della mia voce). Cioè: non semplicemente un insieme di parole, ma il suono della voce. Cosa significa? La voce, quindi la parola, è un suono. Ogni volta che parlo si ripete questo fenomeno: inspiro aria dall’esterno e, nell’atto dell’espirare, io faccio vibrare le corde vocali le quali emettono un suono, la parola appunto.  L’aria che io ho inspirato ha portato ossigeno ai polmoni e, attraverso i polmoni, al sangue; l’aria che espiro non è più uguale a quella che ho inspirato; porta con sé tracce di scorie della mia esistenza. L’aria che espiro ha dentro la memoria di quanto in me è avvenuto e sta avvenendo. Ogni volta che respiro, io ripeto a me stesso e a chi mi sta vicino il mistero della mia vita. Il suono della voce rivela a chi mi ascolta il mistero della vita. Il suono della voce, dunque, è rivelativo di quanto avviene nella mia vita. «Come stai?» - chiedo a mio figlio. Lui mi risponde: «Bene!». E io, suo padre, che conosco mio figlio, dal suono della sua voce capisco come sta. Lo stesso avviene con il partner, con un amico, con…

Come posso, oggi, sentire il suono della voce di Gesù di Nazareth, il crocifisso risorto? Debbo conoscerlo. Come? Attraverso lo strumento privilegiato della sua parola, ascoltata non semplicemente udita. Non è un procedimento puramente intellettuale! Ogni giorno debbo fare attento il mio orecchio a quella parola, fino ad intuire cosa c’è dietro quella parola, fino a sentire la voce-memoria di una vicenda che mi riguarda. Infatti la parola scritta che oggi ascolto è voce diventata tale con la vicenda storica di un uomo che ha vissuto 33 anni la mia stessa vita. Dentro quelle tante parole, io pian piano arrivo ad ascoltare quel suono con tutta la ricchezza della memoria che porta con sé, fino a dire: «Nella persona di Gesù di Nazareth, il Buon Pastore, Dio mi rivela che, Dio mi invita a, Dio mi propone di…». E io dimentico Marco, Luca, Giovanni, Matteo, Paolo… perché ho sentito una parola rivelatrice di una vita… ho sentito il suono della SUA voce… La madre distingue il suono della voce di suo figlio tra tanti bambini, pur senza vederlo; il discepolo distingue il suono della voce di Gesù Buon Pastore tra tante voci…

TITSEMI - LAMBANO

Porre- Prendere. Sono gli stessi verbi usati nel racconto della lavanda: Gesù pone la veste e la riprende: Gesù pone la vita e la riprende. I due riferimenti – deporre la veste e riprenderla / deporre la vita e riprenderla – si illuminano a vicenda: Gesù Servo – Gesù Buon Pastore. Giovanni usa questi richiami per farci entrare più profondamente nel Mistero. Durante la cena Gesù compie i gesti del servo: è quanto compie in tutta la sua vita. Non è un’abluzione: siamo durante la cena, pertanto i piedi sono già stati lavati. E’ un gesto rivelativo: indica fino a che punto Gesù è arrivato donando la sua vita, morendo in croce!  Il gesto della lavanda è un mimo, un gesto profetico con cui Gesù anticipa in un gesto quello che gli è accaduto e gli accadrà realmente, concretamente, nelle ore successive. Gesù sarà consegnato, consegnerà la sua vita nelle mani dei malfattori e darà la sua vita per i suoi, li amerà fino al dono della vita: è il Buon Pastore! Gesù servo – Buon Pastore: prelude a quanto sarebbe successo nella Pasqua.: questo è il mio corpo consegnato per voi, questo è il sangue versato da me...