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Premessa importante. Anziché sostare sui testi del N.T. – già noti nella riflessione di queste Feste – preferisco sostare esclusivamente sulla prima Lettura. Riferisco la sintesi di una bellissima meditazione di Giuseppe Laras Rabbino Capo della Comunità ebraica di Milano: Il Dio delle benedizioni nella tradizione d’Israele (Num 6, 22-27). All’inizio di questo 2017 sentiamoci chiamati dal Dio della Pace, che ha rivelato il suo volto nel Figlio Gesù Cristo morto e risorto, ad essere Shalom, cioè contenitore di trasporto della sua Benedizione. Questo è anche il mio augurio sincero per il Nuovo Anno.

Dal libro dei Numeri (6, 22-27) (Apri la versione PDF)

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli
dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:
Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace”.
Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
Parola di Dio.

Salmo 66 (67)

R. Dio abbia pietà di noi e ci benedica.

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti. R.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra. R.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra. R.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (4, 4-7)

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio,
nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto
la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo
Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più
schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

Dal Vangelo secondo Luca (2, 16-21)

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria
e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo
visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.
Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo
cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello
che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione,
gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima
che fosse concepito nel grembo.

Ti benedica il Signore....

Abbiamo tutti bisogno di Berakhà, Benedizione. E’ una parola importante, ma nasconde un contenuto difficile, di difficile attuazione. C’è la benedizione che rivolge l’uomo a un altro uomo, c’è la benedizione che rivolge l’uomo a Dio, e c’è la benedizione che rivolge Dio all’uomo, al mondo. Sono tutte benedizioni, ma sono benedizioni diverse, perché sicuramente la benedizione autentica, sicuramente vera, è la benedizione di Dio.

E’ scritto nel Trattato delle benedizioni del Talmud babilonese che chiunque goda di qualcosa di questo mondo senza aver detto la benedizione commette peccato di appropriazione. Perché nel momento in cui noi godiamo delle risorse del mondo dobbiamo subito collegare queste risorse a Colui che le ha date, al padrone di queste risorse; e quindi, goderne senza aver benedetto, ringraziato Dio è un qualche cosa che viene definito come appropriazione indebita.

E’ chiaro che ci muoviamo all’interno del difficile percorso della fede: benedire Dio, avere fede in Dio, sentire Dio, sentirlo vicino anche se è lontano. Sono dei percorsi molto difficili ma, se condotti bene, ci portano alla comprensione autentica della benedizione.

La triplice formula è rigida. A questo proposito e utile osservare che questa Berakhà deve essere recitata in ebraico: “così benedirete i figli di Israele", cioè: in questa precisa formulazione. Non potendola pronunciare nella lingua che non è nostra, la pronunciamo almeno in una traduzione fedele:

"Ti benedica il Signore e ti protegga.
Illumini il Signore il Suo viso e ti conceda la grazia.
Rivolga il Signore il Suo viso verso di te e ponga su di te la pace".

  1. "Ti benedica il Signore e ti protegga". La prima osservazione è abbastanza evidente: se il Signore ti benedice, è ovvio che ti protegge. Quindi se c’è la Berakhà c’è tutto. Allora ci chiediamo: che cosa vuol dire: "Ti benedica il Signore"? Vuol dire: ti dia felicità, serenità, prosperità esterna ed interna; ti dia compiutezza di gioia e di felicità e di serenità. In questa espressione c’è anche la felicità materiale, nel senso di serenità per una vita tranquilla. Ma se c’è tutto questo, che cosa vuol dire "ti protegga"? Ebbene, alcuni Maestri dicono: attenzione, perché quello stato di grazia indotto dalla benedizione - "ti benedica" - potrebbe portare la persona a considerare se stessa come artefice di questa benedizione, di questa felicità, di questo successo. E allora è necessario anche che il Signore “ti protegga”. Da che cosa? Dal tuo istinto malvagio, dalla tentazione maligna a cui tutti soggiaciamo che insinua in noi: "sei tu il più grande, sei tu il più bravo, sei tu che crei, sei tu che determini...". Ecco allora che accanto alla benedizione è necessaria anche l’assicurazione contro l’istinto malvagio.
  2. "Illumini il Signore il suo viso e ti dia la grazia". Che cos’è l’illuminazione del volto di Dio nei confronti dell’uomo? E’ il “volto” consenziente di Dio, il volto che trasmette felicità (quando noi guardiamo, sorridendo, una persona mettiamo quella persona nello stato, nella condizione di aspettarsi qualche cosa di buono e di positivo da noi). Si può dire anche: “Il Signore illumini il Suo viso verso di te, trasmettendo al tuo viso un po’ della Sua luce”.
    “... e ti conceda la grazia". Che cosa vuol dire l’espressione “ti conceda la grazia”? Intanto può voler dire: ti renda grazioso, simpatico, attraente, degno di affettuosa attenzione da parte degli altri. Ma può anche voler dire “che faccia posare”, nel senso che faccia scendere la luce della sua provvidenza su di te.
  3. "Rivolga il Signore il suo viso verso di te, e ponga su di te la pace". Assistiamo ad un crescendo. Che cosa significa: rivolga il Signore il suo viso verso di te? C’è un momento in cui Dio può non guardarci? Forse si, quando noi commettiamo delle colpe, non ci comportiamo bene, agendo come se Dio non ci vedesse: è quello che i teologi chiamano nascondimento del volto. Qui si prega Dio che voglia orientare il suo volto in direzione della creatura. E chi è sotto lo sguardo di Dio, è in pace: "e ponga su di te la pace". La condizione per vivere integralmente la compiutezza della pace è di essere sotto lo sguardo di Dio. La pace è sicuramente un dono che viene dall’alto, ma è anche uno strumento nostro per poter accelerare, aumentare, incrementare la discesa dello Spirito di Dio.

Non si può rimanere in posizione statica, limitandoci ad aspettare la grazia dal Cielo. Noi non conosciamo con esattezza e precisione i misteriosi percorsi della benedizione e della pace. Sappiamo però, in proposito, due cose importanti: che esse ci provengono da Dio, ma che anche noi, nonostante i limiti che ci caratterizzano come creature umane, abbiamo parte - una parte importante - nella discesa della benedizione e della pace su di noi.

Se vogliamo attenderci abbondante misura di benedizione dall’alto, occorre che ci provvediamo di un contenitore di trasporto che è lo Shalom. Se non c’è lo Shalom, non può arrivare la benedizione. Se non costruiamo dentro di noi e in mezzo a noi lo Shalom, è difficile attenderci la Berakhà. La Berakhà ha bisogno dello Shalom. Senza Shalom la Berakhà rischia di perdersi per strada e, quindi, di non arrivare fino a noi...«in un mondo che passa come un batter di ciglio, come un’ombra, ma non come l’ombra di una palma o di un muro, ma come l’ombra di un uccello che vola». (Rabbino Nacham di Breslev).