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Premessa.

Il testo di Matteo, arcinoto, è spesso citato purtroppo, a mio avviso, in modo improprio. In questa Domenica mi fermerò solo su quel testo. In particolare cercherò di indagare sul verbo “sa” riferito al Padre. Da sfondo a tutta la mia riflessione, è facilmente riscontrabile il testo di Isaia.

Dal libro del profeta Isaìa (Is 49,14-15) (Apri la versione PDF)

Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.

Salmo (Sal 61)

Rit: Solo in Dio riposa l’anima mia.

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.

In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (1Cor 4,1-5)

Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!
Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.

Canto al Vangelo (Cf Eb 4,12)

Alleluia, alleluia. La parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Alleluia.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 6,24-34)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

IL PADRE SA

Al testo di Matteo è di fondamentale importanza fare una premessa. Matteo ricorre al linguaggio semitico, paradossale, per portare il suo lettore a cogliere il cuore del suo discorso che sta in quel “primum”, dal momento che “il Padre sa”. Se tutti noi facessimo alla lettera come gli uccelli del cielo o i gigli del campo, l’umanità non avrebbe una vita lunga. Come posso dire ad un padre di famiglia che ha perso il lavoro oppure ad un giovane che non riesce a trovarlo: dai, guarda gli uccelli del cielo...?!

Cerchiamo di fissare alcuni passaggi fondamentali del testo. Sei volte, in forme verbali sempre diverse, ritorna il verbo merimnào che significa: preoccuparsi, affannarsi. Inoltre, seminare, mietere, raccogliere: le azioni espresse da questi verbi indicano il lavoro dell’uomo; filare indica il lavoro della donna. Insieme, questi verbi indicano tutta l’attività umana, sono cifra per dire la vita. Ecco, nel vivere la propria vita, l’uomo corre il rischio di ritrovarsi lacerato in quanto afflitto dalla preoccupazione, dall’ansia che non dà tregua, non dà pace, lacera... Nel vivere la propria vita, proprio nelle realtà più essenziali (il lavoro, il procurarsi il nutrimento), l’uomo si scopre diviso, contradditorio, complicato; in una parola si trova segnato dall’ “animalità”, dalla bramosia in contrasto con la propria “umanità”.

E’ possibile uscire da questa lacerazione? L’uomo può trovare una sua armonia, una sua unità nel suo agire così diverso e contradditorio? Sì, l’uomo può conoscere il miracolo della unificazione lasciando spazio alla “forza” divina che giace nelle sue profondità. E’ la “memoria di Dio” deposta nelle profondità della nostra esistenza umana. L’uomo è creato il sesto giorno insieme agli animali, quindi è fragile e debole, soggetto, appunto, alla lacerazione, alla bramosia che lo rende ansioso, preoccupato. Però l’uomo è creato a immagine di Dio Uno. Solo l’uomo unificato può rispondere alla propria vocazione umana a cui Dio lo chiama.

E questo come è possibile? E’ possibile se e in quanto l’uomo riesce ad intravedere un primum nella propri vita, cioè un punto portante da cui tutto dipende e tutto regge. Matteo dice così: tu hai la possibilità di vivere una vita UNA, non lacerata, perché il PADRE SA: tu devi partire di lì, perché questa è la “memoria di Dio” che tu custodisci. Il verbo usato da Matteo è un verbo forte; indica una situazione frutto di una lunga esperienza. Potremmo tradurre così: «Io ho visto (il verbo è al passato) e appunto perché ho visto io so, sono al corrente. Non è frutto di un mio ragionamento o una mia fantasia o una mia impressione. Io ho visto, e proprio perché ho visto so che le cose stanno proprio così, so cosa ti sta succedendo».

Ma come si manifesta questo “divino”, questo primum, nella mia vita, nella mia storia quotidiana, come posso capire che “il Padre sa”? Ecco, la concretezza non teorica: l’Uomo Gesù di Nazareth! L’Uomo non lacerato, l’Uomo che ha raggiunto una unità così profonda da superare ogni lacerazione, anche quella con il nemico che lo sta portando a morire in croce. Questa non-lacerazione si manifesta con il perdono al nemico e con l’affidamento al Padre. Cristo è venuto a proporre la liberazione dell’uomo non dalla fatica, dal dolore, dalla morte fisica che prima o dopo giunge per ognuno, ma da un male maggiore, quello della divisione da se stessi, dagli altri, da Dio.

Mi sembra che questo IL PADRE SA pronunciato da Cristo come corollario delle Beatitudini per me abbia dentro questo invito-buona notizia, “memoria” di Dio Padre nelle profondità più profonde della mia esistenza: «Tu, figlio, discepolo venuto dopo, tu che vivi oggi, nel tuo tempo, come Gesù di Nazareth ti troverai senz’altro ad attraversare momenti difficili, laceranti, apparentemente assurdi, senza senso. E questi momenti ti porteranno a chiederti: - Dio mio, perché -? Ma proprio seguendo Lui venuto ad annunciarti la novità del Regno, arriverai a scoprire una pace interiore, fino a perdonare agli altri e – cosa molto difficile – anche a te stesso. Pian piano arriverai ad affidarti a Me perché io mai mi dimentico di te, come una madre non si dimentica del suo “poppante” (Isaia, 1° lettura). E quando per te arriverà il momento di fare un esame di tutta la tua vita, scoprirai che insieme a Lui, il Fratello Gesù, avete fatto un bel cammino, avete raggiunto quell’UNUM per il quale io ti ho donato la vita. E se mancherà qualcosa, non preoccuparti: io sono un PADRE che SA».

MERIMAO

Spesso il N.T. sottolinea che l’esistenza umana è turbata dall’ansietà. Con Matteo questo viene tematizzato. Il futuro e i mezzi di sussistenza per la propria vita designano la vita stessa. Che si tratti di una preoccupazione ansiosa è quanto lasciano intendere le domande, ma soprattutto il confronto con gli uccelli e le piante. Ricordando queste creature che non possono provvedere al loro futuro col lavoro, si presuppone che gli uomini vi provvedano, ma che, pensando a quelle creature, lo debbano fare senza ansietà. Ciò che trasforma la cura da conveniente in irragionevole è proprio l'ansietà e l'illusione di assicurare la vita stessa curandosi dei mezzi per il suo sostentamento. Di qui viene il paradosso “...non vale la vita più del nutrimento e il corpo più del vestito?” Questa sollecitudine è inutile, perché il futuro, su cui essa crede di contare, non sta a disposizione di chi si preoccupa. La sollecitudine ansiosa – l’uomo non dimentichi! – non è necessaria perché Dio l’ha presa su di sé. Questo vuol dire che l'insicurezza non deve renderlo ansioso, qualunque cosa accada. Il presupposto per potersi liberare dal l’ansia è la ricerca del Regno. [Kittel – o.c. – Vol VII – pagg. 65-77]