Nota: Domenica 5 ottobre Celebriamo il XXXIII Anniversario della Dedicazione della nostra chiesa. Ho tenuto le stesse letture per poter dare continuità al Vangelo di Luca. Ho cambiato solo la seconda Lettura (Gc 5, 1-15) perché si inquadra molto bene con la riflessione che faremo nelle singole Celebrazioni.
Dal libro del profeta Abacuc (Ab 1,2-3;2,2-4) (Apri la versione PDF) (Ascolta il commento audio)
Fino a quando, Signore, implorerò aiuto
e non ascolti,
a te alzerò il grido: «Violenza!»
e non salvi?
Perché mi fai vedere l’iniquità
e resti spettatore dell’oppressione?
Ho davanti a me rapina e violenza
e ci sono liti e si muovono contese.
Il Signore rispose e mi disse:
«Scrivi la visione
e incidila bene sulle tavolette,
perché la si legga speditamente.
È una visione che attesta un termine,
parla di una scadenza e non mentisce;
se indugia, attendila,
perché certo verrà e non tarderà.
Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede».
SALMO RESPONSORIALE (Sal 94)
Rit: Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia. R.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce. R.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere». R.
Dalla Lettera di Giacomo (5, 7-15)
Fratelli, Sorelle, siate costanti, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. Ecco, noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione.
Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode. Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,5-10)
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
INCONTRO CON IL TESTO
La comunità di Luca sta facendo una duplice difficile esperienza: [1] Il livello attuale della fede che la anima non è in grado di rispondere ai problemi nascenti nel proprio interno. [2] Da soli non sono in grado di migliorare la propria situazione.
Gli apostoli: «Aumenta la nostra fede» (letteralmente: aggiuncici fede). L’apostolo è l’inviato dal maestro a portare la notizia della sua venuta oltre la cerchia della comunità. La fede è esperienza personale che lega discepolo e maestro: è proprio questa relazione che entra in crisi. Questo spiega il perché gli apostoli si sentano inadeguati; d’altra parte non possono dimenticare che questo fa parte della relazione esperienziale con il Maestro: perciò è ancora a Lui che si fa riferimento.
Signore… E’ un titolo solenne che rivela un passaggio, un cambiamento nella relazione maestro – discepolo: non più un “maestro”, un “rabbi” (così veniva chiamato Gesù quando camminava per la Palestina); ma il “Signore”, colui a cui si dà una adesione non solo intellettuale, ma esistenziale, totale: è la persona che dà senso, spessore, gusto, colore…a tutta la vita.
Nota: maestro-discepolo; signore-credente…: nella Chiesa degli anni 80 Luca cerca di riportare, far rivivere, la stessa intensità relazionale che univa Gesù e suoi discepoli; per i nuovi apostoli è necessario riscoprire questa intimità relazionale perché la misericordia del Padre possa essere ancora annunciata e testimoniata.
…un granello di senape: la comunità di Luca conosce le varie parabole del seme; in particolare, conosce la parabola del seme di senape. Occorre non dimenticare quell’annuncio, ora che la Chiesa si sta rendendo conto che è una minoranza, spesso insignificante, tra mille difficoltà. Il Regno cresce, anche se tutto sembra smentirlo: la stessa cosa è successa a Lui, il Signore, la stessa cosa succederà al discepolo. E il discepolo avrà l’impressione di essere un perdente, uno sconfitto. Luca, come suo solito, ricorre al paradosso: la fede ha ancora delle risorse là dove invece la ragione si ferma.
Questo spiega l’immagine parabolica del padrone e dello schiavo.
…uno schiavo…il padrone… Lo schiavo è la persona che non appartiene a sé stessa… come il suo Signore, tutto del Padre e dei fratelli. Il padrone non serve; il nostro Signore è in mezzo a noi come uno che serve: è la buona notizia che Luca registra nel suo Vangelo.
CONTEMPLAZIONE
Celebriamo il XXXII Anniversario della Dedicazione della nostra chiesa. In questa Domenica, celebreremo con particolare solennità il Sacramento dell’Unzione degli infermi per fratelli e sorelle della nostra comunità che ne hanno fatto richiesta. Evento Pasquale per noi: nel segno dell’Unzione celebriamo il Risorto che con noi cammina, sostiene è dà forza al nostro cammino.
In ascolto della Parola che verrà proclamata ci lasceremo interrogare sulla nostra fede: la nostra fede è un affidamento al Mistero, che noi invochiamo come Dio e Padre della nostra Storia così come Gesù ce ne ha dato testimonianza? A questo ci guidano le tre Letture:
+ Prima Lettura: Abacuc, profeta quasi sconosciuto. Circa 500 anni prima di Cristo, in un momento molto travagliato – erano in corso guerre tra questi popoli – afferma: Soccombe l’empio, mentre il giusto vivrà per la sua fede.
+ Fa eco Gesù/Luca: Se aveste fede quanto un granello di senape potreste dire a questo gelso: «Sradicati e vai a piantarti nel mare» ed esso ti obbedirebbe».
+ Seconda Lettura: Giacomo, molto più concretamente: Siate costanti fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza…».
Noi ci fermiamo su questa espressione di Abacuc: il giusto vivrà per la sua fede… Il termine usato significa: aderire, stare attaccato, essere disposti all’impossibile, fidarsi, stare attaccati alla sua Parola… In ebraico suona così: emunà che ha dentro la parola amen. Questa è la trama di tutta la Bibbia. Vediamo.
- Gli inizi: E’ vero che Dio ha detto? L’uomo inizia mettendo in dubbio Dio: se tu sei intelligente capisci subito che questo è assurdo: che attualità!
- Durante l’esodo, il cammino nel deserto: «Fino a quando questo popolo mi respingerà e fino a quando non si fiderà di me, dopo tutti i segni che ho operato in mezzo a lui?» [Num. 14, 11ss]. Sembra dire: al principio il dubbio era ancora comprensibile, adesso non più! Il discorso di Mosè: «Nonostante tutto non vi siete fidati di Jahvé, vostro Dio» [cfr. Deut. 32, 8-9]. Come dire: il dubbio fa parte della nostra razionalità; fidarsi è quel passo che mi porta oltre: la fede ha bisogno del dubbio quando, ovviamente, il dubbio non è un pretesto per dire: non è vero niente!
- La tentazione dell’incredulità, della sfiducia, è così grande che anche Mosè e Aronne ne sono vittime. Essi non credono che Dio potrebbe dissetare il popolo anche senza la loro collaborazione, senza che essi vibrino un colpo sulla roccia. Ma proprio quell’atteggiamento che sarebbe stato possibile, giustificato, anzi dovuto verso gli uomini, costituisce ora una vera ribellione, perché si tratta di Dio. Dobbiamo leggere con intelligenza questi racconti. Un esempio: Dio più forte delle nostre morti; il dubbio è normale, il fidarsi del Dio della Vita, del Dio del Crocifisso risorto è entrare in un’altra dimensione: emunà, il nostro Amen a Dio, alla vita. Il Salmo 116,10 «Ho conservato la fiducia anche se dovevo dire: Sono profondamente prostrato».
- Abramo! L’uomo che si fida contro ogni buon motivo per fidarsi. Abramo è l’uomo che ha fiducia in Dio e affida, lascia a lui l’adempimento della promessa. Per lui l’importante è stare attento ai segni di questa promessa e rispondere. Per quanto sia imprudente fidarsi degli uomini, di Dio ci si può fidare.
E fidarsi non vuol dire rassegnarsi, aspettare che capiti qualcosa. Vuol dire continuare la propria storia sapendo che l’ultima parola è di Dio che continuiamo a chiamare Mistero. E come? E fino a quando? Abramo l’ha scoperto alla fine. E Gesù: Dio mio, perché mi hai abbandonato?! Tuttavia: Nelle tue mani affido la mia vita.
Celebrando il sacramento dell’Unzione di chi vive un particolare momento di difficoltà, di speranza, di attesa, noi entriamo a pieno titolo a far parte di questa storia di Dio con noi: si unge per essere pronti nella lotta, nella fatica, nel cammino che stanca; si unge perché ci fidiamo che Dio è la nostra forza, il nostro coraggio, Lui che in Gesù di Nazareth ha condiviso e condivide il nostro cammino perché noi non restiamo vittime del male che ci affatica. Veramente oggi è Pasqua!
DOULOS
Nel N.T. la famiglia di doulos = schiavo designa un rapporto incondizionato di dipendenza da un kurios = signore il quale rivendica una signoria totale, cui corrisponde solitamente da parte del doulos una completa sudditanza sufficientemente fondata sul semplice fatto che esiste il kurios; essa cioè non ha bisogno di altra particolare giustificazione morale o religiosa, in quanto è la legge stessa che ne assicura la validità. Il rapporto tra padrone e schiavo nelle parabole di Gesù è delineato con assoluta sobrietà. Del termine doulos, Gesù si è servito per due scopi: 1) per esprimere l'assoluta dipendenza degli uomini da Dio, e 2) per significare che Dio, nel suo rapporto con gli uomini, non sottostà a condizioni di nessun genere. Qui il termine doulos esprime sempre un dato di fatto cui non ci si può sottrarre e di cui invece bisogna portare le conseguenze, se non si vuole incorrere nella punizione. Non c'è posto per una volontà propria accanto a quella del kurios per un'iniziativa personale compatibile con la sua sovranità. Ricorre anche la menzione del carattere esclusivo del rapporto che lega lo schiavo al kouros (vedi Mt 6,24; Lc 16,13).