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Un racconto senza tempo (Apri la versione PDF)

Rilettura a più voci di Luca 15
PREFAZIONE

Che la Bibbia abbia un posto di primo piano nella letteratura mondiale, penso sia noto a tutti. Però oggi ancora soffre per due motivi:

  1. È catalogata tra i “Libri religiosi” e questo la penalizza enormemente. La Bibbia parla prima di tutto all’uomo ed è scritta per l’uomo: un uomo che, ovviamente, si pone la domanda su un “Dio”.
  2. Purtroppo vive come in esilio dall’uomo, viene vista come banale racconto di storie irreali, lontane dai veri problemi dell’uomo; e questo anche dai così-detti “uomini di chiesa”, dai battezzati in genere. In questi ultimi 50/60 anni, dopo il Concilio Vaticano II, stiamo assistendo ad un “ritorno della Parola”, quasi un risveglio. Dopo secoli di lontananza, il ritorno è faticoso, ma si incominciano ad intravedere i primi passi di speranza.

E i giovani, le nuove generazioni? Purtroppo respirano l’aria che le passate generazioni hanno respirato senza porsi troppi problemi. Non raramente sento ripetere, anche tra noi preti, che per i giovani la Bibbia è troppo lontana, bisogna essere più concreti... parlare dei nostri problemi... Dio ci perdoni, se può!!??

Al termine di un nostro incontro sui Salmi (se ben ricordo) un partecipante ha chiesto così: “Perché non tutti i giovani della nostra età hanno l’opportunità di accostare questo Libro?”

Sono passati degli anni ma, si sa, le domande intelligenti prima o poi hanno qualcosa da suggerire. Cioè perché non condividere con altri quello che stiamo incontrando nella nostra ricerca?! È nata così l’idea di affidare a un “Quaderno” quanto andiamo scoprendo. Cominciamo con il Quaderno n. 1.

Il futuro? I giovani presenti quel mattino e tanti che si sono aggiunti accettano e lanciano la sfida. Perché non crederci?

Don Nando

INTRODUZIONE

Fra i vari gruppi di lettura ed approfondimento della Bibbia che si svolgono da tempo nella Parrocchia del Buon Pastore di Parma, uno è composto da giovani che, dopo aver condiviso negli anni il percorso di catechesi, superati i 18 anni hanno deciso di continuare a leggere insieme la Bibbia. Le domande, i dubbi, le riflessioni suscitate da questo Libro sono dentro ad ogni essere umano da sempre e qui anche un giovane di oggi può trovare qualche risposta che lo farà crescere nella sua umanità.

Il percorso del 2020 ha riguardato la rilettura di un testo molto conosciuto, il capitolo 15 del Vangelo di Luca, la parabola del Padre Misericordioso. Alla fine di una serie di incontri guidati da una traccia preparata da Don Nando Bonati prendendo spunti da vari autori, il gruppo, organizzato in piccoli sottogruppi, si è interrogato sul percorso fatto ed ha prodotto dei testi che sono raccolti qui.

Il Quaderno inizia riportando il testo della parabola, continua con la trascrittura letterale del lavoro dei quattro sottogruppi che hanno ragionato rispettivamente sui temi:

  • Cristo nella parabola di Luca 15
  • La fede come ossimoro
  • Fede e religione in Luca 15
  • Quale è il punto in comune fra i due fratelli?

E termina con una sintesi del lavoro.

Buona lettura!

Dal Vangelo di Luca:

“Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". [...] Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"".

CRISTO NELLA PARABOLA DI LUCA 15

Premesse:

  • il motivo per cui abbiamo scelto questo tema, oltre alla difficoltà di comprensione di alcuni degli altri temi, è il desiderio di ragionare più in profondità sulla "parte" svolta da Cristo in questa parabola, che non ci è/era chiarissima
  • nessuno di noi prima di questi incontri, aveva realizzato che il vitello ingrassato a frumento fosse una rappresentazione del Cristo Agnello, anzi nemmeno avevamo badato a questo protagonista del racconto. Decisamente per noi l’attenzione era sui due figli e sul Padre e leggevamo tutto il brano più come un insegnamento "morale", che mette in luce il rapporto tra l’uomo/il Cristiano e Dio Padre, non “chiamando in causa” Cristo.

La nostra riflessione:

  • dopo il percorso fatto capiamo che il vitello può rappresentare Cristo e ci sembra giusto dire che è stato l'elemento che ha fatto scoppiare il dissidio nella famiglia, infatti  il Padre lo vuole sacrificare per fare festa al figlio minore, ma questo è inaccettabile per il figlio maggiore, che pensava di poterlo avere per sé,  e la parabola non ci dice cosa farà il figlio maggiore alla fine, ma sembra che non voglia partecipare alla festa Da una parte un figlio che ha bisogno di mangiare, quindi torna e non gli pare vero che gli si faccia festa, dall'altra un figlio che non vuole condividere niente con il fratello, nessuno dei due capisce che ce n'è per tutti, non solo del vitello, ma soprattutto di perdono, misericordia, amore di questo Padre. Ci sembra una situazione ancora attuale: Gesù pietra d'inciampo, scandalo oggi come allora sia per la comunità, che fatica ad accettare l'invito di partecipare al banchetto eucaristico, sia per ciascuno di noi che qualche volta è figlio minore, e partecipa al banchetto per interesse, ma senza vera consapevolezza, qualche volta figlio maggiore e scappa senza capire. Forse il vitello ingrassato a frumento è dissidio anche per noi che vorremmo amare come il padre, essere liberi ed essere perdonati-amati come il figlio minore, essere “ricompensati per quello che siamo e che facciamo” come il fratello maggiore.
    Quante volte questo vitello ingrassato, in base ai momenti della nostra vita o alle situazioni che viviamo…non riusciamo ad assaporarlo veramente. Spesso siamo chiamati a questa mensa in cui si celebra “questo vitello ingrassato a frumento”, liberamente, ma a volte non riusciamo a sentire.
  • Il vitello ingrassato con cui fare festa (Cristo) avrebbe potuto essere un'occasione di riconciliazione, che però sembra non essere avvenuta, e qui entra in gioco il tema della libertà di scelta che il Padre ci lascia, sta a noi accettare le occasioni che ci vengono date.
  • Si può ritrovare Cristo anche in altri aspetti/elementi della parabola? Non li vediamo con chiarezza, ma emergono alcune ipotesi, ad esempio i servi che vengono chiamati in causa ogni tanto sia dal Padre che dai figli sembrano svolgere una funzione di mediazione che richiama la figura di Gesù come "mediatore" fra noi e il Padre; oppure i segni (anello/vestito/calzari) che rappresentano l'appartenenza alla casa del padre potrebbero svolgere la funzione che per noi svolge Cristo di mostrarci il Padre?
  • Alla fine rimaniamo con tanti dubbi e domande: quanto Cristo è nel vitello ingrassato a frumento (elemento “da spezzare-offerto in sacrificio per noi”); quanto nel Padre (“amore oltre l’umano”), quanto nel figlio minore (“morto e risorto”, e “a cui sono stati riconsegnati i sandali, l’anello, il vestito), quanto nei servi … e magari anche nel figlio maggiore?

A completamento di questa riflessione riportiamo dalla traccia di Don Nando:

“Perché nel racconto il fratello maggiore accusa il minore di avere speso tutto con le prostitute dal momento che nel racconto non sono menzionate? Ha un motivo serio. Infatti, il vitello ingrassato con il frumento perché la carne fosse più tenera, era riservato per le grandi occasioni (Gen 18,7). Il capo famiglia, in particolare, aveva un’attenzione particolare per fare in modo che nelle nozze del figlio primogenito, quello su cui sarebbe poi passata la benedizione del padre, mai e poi mai venisse a mancare il vitello ingrassato. Il figlio maggiore ha tutte le ragioni per arrabbiarsi con il padre: uccidesti per lui l’ingrassato vitello! Il padre ha commesso una grave ingiustizia. Il figlio che si è prostituito – immagine di Israele che celebra nozze di prostituzione con le divinità pagane (cfr. Es 32,18) - ora ha quel vitello ingrassato che dovrebbe servire a sancire il matrimonio di fedeltà! Per noi è un particolare da poco, per l’ebreo no! Nessun ebreo avrebbe mai fatto un’ingiustizia del genere a un suo figlio primogenito.

Sì, è Lui, Gesù di Nazareth, il Vitello Ingrassato! È Lui che rende possibile la riconciliazione. Se in questa storia c’è qualcuno che veramente paga, è proprio il vitello ingrassato che viene ucciso per permettere il banchetto di nozze.”

LA FEDE COME OSSIMORO – Un dialogo
GLI OSSIMORI NELLA PARABOLA DI LUCA 15
  • La fede come ossimoro… Non so voi ma quando il Don ci ha proposto i vari gruppi tra cui scegliere sono stato subito incuriosito da questo. Ho sempre sentito parlare dell'ossimoro come di una figura retorica tra le tante, ma l'ossimoro accostato alla Fede non l'avevo proprio mai sentito.
    • Proviamo a partire dalla spiegazione del Don, no? Le greciste lo sapranno spiegare meglio di me, però ricordo che la parola ossimoro deriva dal greco (oxymoron) ed è proprio un ossimoro, perchè letteralmente significa “acuto” e “ottuso”.
      Certo, accostare questo concetto alla Fede non è semplice...
  • Però effettivamente, se ci pensi, partendo da questo e dalla parabola di Luca 15 che abbiamo ascoltato in questi mesi, secondo me non è così campata in aria l'affermazione di “Fede come ossimoro”.
    Il brano di Luca, a ben vedere, è disseminato da esempi di ossimori.
    • Tipo? Ci fai qualche esempio?
  • Il primo si trova subito all’inizio: il figlio che si rivolge al Padre, chiamandolo Padre, ma di fatto non trattandolo come tale. E il Padre che sorprendentemente concede quello che il figlio ha preteso, rinunciando di fatto alla propria paternità, “morendo” come Padre. Emerge in questo caso un ossimoro vivo-morto nel presentare la figura del Padre, è un Padre che rimane senza paternità, ecco l’ossimoro.
    • Si, e allo stesso modo il figlio smette in quel momento di essere figlio. Ma è anche in quel momento che il Padre lo sta salvando, no?
  • Esatto! Un altro esempio di ossimoro nella Parabola io l’ho trovato anche nella “scena” delle carrube: la carruba in questo frangente è allo stesso tempo sia il punto più basso raggiunto, in quanto simbolo della condizione di immondo del figlio minore, sia il motore necessario che lo spinge a ritornare dal Padre. Un ultimo ossimoro che secondo me è evidente nella Parabola riguarda la figura del figlio maggiore. Pur essendo rimasto a casa col Padre, viene descritto come se fosse lontano (“si trovava nei campi”): lui lontano lo era pur rimanendo vicino, era assente pur essendo presente. Quindi da una lettura più attenta, entrambi i figli vengono descritti come “lontani” perché non vivono una relazione col Padre…
RAPPORTO PADRE-FIGLIO MINORE E PADRE-FIGLIO MAGGIORE
LA LOGICA DI DIO
  • Ecco, ricollegandomi a questo, per me l’ossimoro più importante e significativo è proprio legato a questo concetto di vicinanza-lontananza ed è rappresentato dal figlio minore.
    Egli va in esilio dal padre e quindi anche da Dio (perché allontanandosi dalla casa e dalla comunità egli abbandona anche il Dio di suo padre). Raccoglie tutto quello che possiede e che ha preso dal padre, tutte le sue radici e tutte le cose materiali che lo rendono connesso con il padre e la famiglia e se ne va SOLO, lontano. Non è forse questo l’ossimoro peggiore? Essere CONNESSO ma allo stesso tempo solo--> senza speranza.
    Possiede tante cose materiali ma è vuoto, prima ancora di sperperare tutto.
    Nella stessa RELAZIONE con il padre, il figlio minore torna solo quando ha bisogno di qualcosa, ha fame e vuole mangiare. Ha tutte le condizioni per instaurare una vera relazione con il padre, ma anche in questo caso rimane vuota.
    • In questa relazione secondo me il paradosso più grande è l’atteggiamento del padre.
  • Sì, lo penso anche io. È paradossale per la nostra logica. Il figlio non dà niente al padre, torna solamente per poter mangiare, mentre il padre dona tutto e perdona il figlio minore prima ancora che lui sia arrivato.
    • E per noi probabilmente è difficile capire questo atteggiamento perchè siamo abituati a ragionare pesando le relazioni sulla bilancia, come se l’amore in qualche modo fosse una questione di merito.
  • Infatti noi ragioniamo come il fratello maggiore: è sempre stato ligio al suo dovere, ha rispettato le regole e i desideri del padre, è sempre stato al suo fianco e non ha sperperato la sua fortuna e proprio per questa ritiene di meritare di più del figlio minore. Non è in grado di vedere cosa vi sia al di là del gesto e della reazione avuta dal padre al ritorno del fratello e quindi non comprende il motivo di fare festa.
    • Io mi ci ritrovo molto in questo suo atteggiamento. Se ho fatto di più, ritengo di meritarmi di più e quindi se qualcuno ha fatto più errori di me, si merita meno di me.
  • Ma infatti secondo me l’essere umano, in quanto animale sociale, per vivere in comunità ha bisogno di un codice che regolamenti la sua vita e che stabilisca ciò che è giusto da ciò che non lo è. Abituato a vivere con questa mentalità, l’uomo vive come un’ingiustizia la decisione del Padre di accogliere il figlio senza che vi sia alcun tipo di sanzione. Noi comprendiamo meglio lo stato d’animo del figlio maggiore perché secondo la logica umana ad un comportamento sbagliato/proibito, consegue una punizione. Invece l’ossimoro è proprio questo: lo stravolgimento delle nostre convinzioni, dove al posto del giudizio di un padre riscopriamo un’altra cosa: il perdono.
  • Effettivamente, da figli minori, è bello pensare che il Padre non agisca secondo questo principio, e che ci perdoni. In altre parole, è scorretto che il padre perdoni ciò che non trovo giusto, ma allo stesso tempo è confortante sapere che lui ci sarà sempre. E che agisce in maniera diversa da quelle che sono le logiche umane, le mie logiche.
CRISTO COME OSSIMORO, LA FEDE COME OSSIMORO
  • Traendo le conclusioni da quello che ci siamo detti, è ormai chiaro come la Fede nella sua interezza risulta essere un ossimoro, perchè è la logica di Dio che spesso ci pone davanti a degli ossimori. E la nostra professione di Fede? Sentiamo spesso e da sempre che Gesù è il Figlio di Dio, il Salvatore...ma i suoi stessi discepoli non sono forse rimasti confusi davanti alla sua figura? Uomo fino in fondo ma anche debole a volte, fragile come tutti noi. Come può un Uomo finito in croce, cioè nel punto più basso che ci fosse all’epoca, essere anche Dio stesso? Nel vangelo di Marco specialmente (il Vangelo più antico dei quattro) l’alternanza Forza e Debolezza di Cristo è sempre molto presente, quasi posta sotto una lente di ingrandimento. I discepoli che all’inizio lo seguono attratti da lui man mano che lo conoscono meglio lo abbandonano mentre sta morendo.
    • Un po’ come ha fatto il figlio minore nella parabola, no? Di fatto prende tutti i suoi averi e abbandona il padre, considerandolo di fatto morto.
  • Esatto, e poi come nella parabola, cosa succede? Uno dopo l’altro tornano a Gesù, dallo stesso Gesù che avevano abbandonato. Non è successo un qualche miracolo spettacolare, semplicemente proprio grazie all’evento della morte di Gesù hanno cominciato a vedere in lui proprio il Messia che attendevano. Attraverso quell’evento hanno riflettuto sulla sua vita e su ciò che aveva fatto, comprese le sue debolezze di Uomo. È questo che la Fede porta a fare, a fidarci di un Uomo morto in croce che però è il figlio di Dio. Di un Figlio di Dio che nel momento finale della sua vita chiama Dio senza ricevere risposta. E in un Dio che è assente ma al tempo stesso presente e Padre. L’ossimoro della Fede in un Dio umanizzante.
FEDE E RELIGIONE IN LUCA 15

Inizialmente ci siamo interrogate su cosa fosse la fede e cosa la religione e su dove potevamo vederle nella parabola del Padre misericordioso. Già da subito tra le due ci è stato più facile avere un’idea di cosa fosse la religione e di come poterla identificare nella parabola. Abbiamo individuato una rappresentazione della religione nella figura del fratello maggiore e nei suoi comportamenti. Il figlio maggiore rappresenta la religione e i suoi precetti, il fare le cose nel modo apparentemente giusto, secondo le regole, aspettandosi in cambio un premio, un riconoscimento: il fratello maggiore sulla carta sembra fare tutto nel modo corretto e, proprio in virtù di questo, in cambio pretende da suo padre un premio (come la cena col vitello ingrassato, preparata per il fratello). Quando non riceve il premio che crede di meritare, si arrabbia sia col padre che col fratello e non riesce ad essere felice neanche per il ritorno di quest’ultimo; ma non solo: sembra anche desiderare che il fratello minore, avendo sbagliato, venga punito.

Il figlio maggiore è sempre stato accanto a suo padre, gli è sempre rimasto fedele, ma da come parla e da come si comporta nei confronti di suo fratello ritrovato e di suo padre, dimostra di non averlo mai conosciuto/capito davvero, di non aver imparato niente da suo padre. Il figlio maggiore è rimasto in se stesso, non è mai entrato davvero in relazione con suo padre. Sembra comportarsi in questo modo senza credere davvero in quello che fa, ma più come se stesse seguendo un precetto. E anche qui ci è venuto subito da ricollegare questo comportamento a noi. Anche noi talvolta siamo convinti di comportarci nel modo “giusto”, ma è un’idea di “modo giusto” che ci siamo costruiti da soli. È più facile fare così, basarci solo sulle nostre convinzioni piuttosto che entrare in relazione davvero con gli altri; come forse è più facile essere religiosi senza fede: per farlo basta seguire una serie di regole e di precetti. Per essere invece uomini e donne di fede, uomini e donne nel vero senso della parola, ci vuole un altro tipo di lavoro, molto più arduo, che richiede impegno e fiducia. La fede va vissuta come una relazione: per prima cosa con noi stessi, poi con gli altri e infine anche con quell’Uomo. Sono proprio le relazioni che ci qualificano come persone, come uomini e donne veri.

Quindi abbiamo ripreso ad interrogarci su dove fosse la fede nella parabola, aspettandoci, visto il collegamento tra fratello maggiore e religione, che allora la fede fosse rappresentata dal figlio minore. Abbiamo fatto fatica però inizialmente a vederla in questo modo, perché è vero che il figlio minore torna indietro, ma possiamo dire che lo fa per le giuste ragioni, possiamo dire che si pente? In realtà lui torna sui suoi passi perché ha fame, è disperato. E ci siamo chieste: questa può essere fede? Possono essere queste le motivazioni alla base di un percorso di fede/fiducia?

Piuttosto ci è sembrato di vedere un atteggiamento di fede nella figura del padre. Nella relazione che lui ha con i suoi figli, nell’evidente e indiscutibile amore che prova per loro, nel suo perdono gratuito e immediato, che egli concede senza esitare: un perdono che permette la rinascita del figlio. Ed è stato proprio parlare di questa rinascita del figlio minore che ci ha spinto a ritornare un po’ sui nostri passi e a vedere la fede, effettivamente, anche in lui. Perché forse la vera ragione per cui il figlio minore torna a casa è che in fondo sa che il padre lo aspetta sempre, o comunque si mette in cammino con questa speranza. Possiamo quindi vedere la fede nel figlio minore che, pur temendo che il padre potrebbe rifiutarlo o metterlo a suo servizio tra i servi, decide comunque di provare a ritornare a casa: torna forse per i motivi sbagliati, per motivi egoistici, ma nella speranza di trovare perdono! La fede forse sta proprio lì: nel rendersi conto che ci siamo allontanati e nel tentativo di rimetterci in cammino; nella fiducia nel padre, non completamente cieca ma, pur con i suoi dubbi e timori, abbastanza forte da spingerci a fare un tentativo per ritornare sui nostri passi e tornare da quel Padre.

Quindi abbiamo proseguito riflettendo (come è già stato detto nel corso di quest’anno) sul fatto che Luca non vuole farci un discorso morale. Con l’esempio dei due fratelli non vuole dirci come dovremmo comportarci, se è meglio un modo o un altro. Il discorso di Luca è un discorso di fede. Abbiamo due esempi, due fratelli che si comportano in maniera diversa, che sbagliano in maniera diversa, entrambi pensando di fare il meglio per loro stessi. E qual è l’unico collegamento tra i due fratelli? Il Padre, che perdona il figlio minore senza bisogno di sentire parole, senza doversi accertare che lui si sia pentito o abbia capito il suo errore, ma che si getta subito su di lui per abbracciarlo; il padre che lascia la festa per il figlio ritrovato per andare a prendere il figlio maggiore, arrabbiato, ferito e rimasto fuori.

Ci risulta molto più facile capire le azioni dei due figli rispetto a quelle del padre, perché il fatto che lui li perdoni subito, senza dare importanza a quello che hanno fatto o sbagliato in passato, senza aspettarsi la promessa di un miglioramento futuro, senza pretendere un sincero pentimento ci sembra strano, senza senso. Questo perdono immediato, “a costo zero” a noi risulta molto difficile da capire e soprattutto da replicare nella nostra vita: perché il padre si comporta come Dio fa con noi; non ha senso che ci perdoni sempre nonostante i nostri innumerevoli sbagli, non rientra nella nostra logica umana, eppure Lui lo fa comunque.

Quindi forse l’invito di Luca è proprio questo, un invito a fidarci, fidarci di questo Padre sia quando facciamo la cosa giusta sia quando sbagliamo, quando le cose vanno bene e quando vanno male, nei momenti felici e in quelli di crisi. La nostra relazione con Dio non deve essere compromessa nè dai nostri errori nè dalle nostre buone azioni. La parabola non vuole darci un elenco di regole da seguire, ma vuole farci comprendere la bellezza di fidarsi di questo Dio che ci perdona sempre, la bellezza di vivere una vita nella fede anche quando la vita non ha senso.

Abbiamo concluso la nostra riflessione chiedendoci se la nostra fosse quindi un’esperienza di fede o di religione. E ci siamo risposte forse entrambe, perché noi da una parte vogliamo essere perdonati quando sbagliamo, vogliamo essere riconosciuti quando pensiamo di fare giusto (come il figlio maggiore); allo stesso tempo quando sbagliamo o quando stiamo male davvero, quando le cose vanno male, nei momenti di crisi (come accade al figlio minore), abbiamo proprio bisogno di fidarci di un Dio che è Padre, che per noi c’è sempre e che ci perdona sempre, senza bisogno di spiegazioni o di giustificazioni. Siamo figlio maggiore e figlio minore.

QUAL È IL PUNTO IN COMUNE TRA I DUE FRATELLI?

Siamo partiti da alcune domande tra di noi:

  • Perché abbiamo scelto di approfondire questo argomento di Luca 15?
  • Ci si può sentire entrambi i fratelli o solo uno?
  • Perché ci sono due fratelli, nonostante questi non entrino mai in contatto?

A seconda delle condizioni e del momento della vita che sta affrontando, ognuno di noi può immedesimarsi in questa parabola (umanizzazione) e in entrambi i fratelli.

Esempi:

Nella nostra personale esperienza di fede:
  • La nostra frequentazione della parrocchia: noi siamo presenti e prestiamo servizio, ma siamo sicuri di non essere il fratello maggiore, colui che si trova IN casa e non NELLA casa e che non è veramente in relazione con il Padre? Il nostro essere “attivo” e “servizievole” è sempre consapevole e voluto, o talvolta forzato e magari frutto di comportamenti abitudinari?
  • Possiamo prenderci una sorta di pausa ed allontanarci, scegliere di seguire ciò che non rientra nell’attività parrocchiale e quindi ritrovarci nella figura del fratello minore.
In famiglia:
  • (Tutti) abbiamo fratelli/sorelle, siamo padri e madri. Come ci poniamo nei confronti di queste relazioni?
  • Situazioni in cui i “fratelli” sentono che il “padre” nei loro confronti si comporta in modo diverso e apparentemente ingiusto.
Nella società:
  • I due fratelli non si parlano mai, non c’è mai un confronto, un dialogo o una scena che coinvolge entrambi. Il figlio maggiore quando parla con il padre e si riferisce al fratello dice “TUO figlio” e non “MIO fratello”. È il Padre il loro collante, è nel Padre la loro relazione. Allo stesso modo nelle famiglie, nelle comunità, nei gruppi di persone, c’è sempre una persona che fa da collante.
Alcune riflessioni condivise:
  • Noi possiamo essere entrambi i fratelli senza essere incoerenti. Ci possiamo riconoscere in entrambi, essendo questi due facce della stessa medaglia. Il punto in comune per questi due diversi comportamenti è che si interpone una distanza tra noi (qualunque sia il fratello che stiamo rappresentando e vivendo) e il Padre.
  • Questa parabola è come un film, ma senza finale. Forse volutamente non c’è un finale univoco, ognuno deve trovare il proprio finale. Se ci venisse fornita la risposta - che si tratti questa di un “lieto fine” che vede la riconciliazione (tra i fratelli, e tra i fratelli e il padre) oppure una distanza tra questi personaggi ancora più marcata - saremmo meno spronati a riflettere e ad immedesimarci nel racconto.
  • Il figlio minore, anche se in modo ingenuo, ha preso la scelta consapevole di allontanarsi. Quando torna dal Padre non siamo sicuri che si tratti di un reale e sentito pentimento. Il figlio minore, tuttavia, si è mosso e ha scelto di scegliere (cosa che il figlio maggiore non fa). Nonostante abbia preso scelte in modo superficiale, si è mosso nel proprio spazio d’azione della possibilità di scegliere. Almeno il figlio minore si muove, mentre il maggiore è la tragedia nella tragedia, dell’uomo che non si muove e che sta fermo dove si trova.
  • Il figlio maggiore vive la sua condizione nell'abitudinarietà. Quanto questo figlio riconosce davvero il padre mentre lo serve? Quanto trasmette questo padre, quanto lo vive, quanto se lo sente? II figlio maggiore alla fine del racconto si rivolge al servo perché non ha neanche il coraggio di affrontare il padre. È così tanto non protagonista di quella realtà che non riesce neanche ad affrontarla.

Dopo esserci immedesimati nei due fratelli, è possibile per noi immedesimarci anche nel Padre?

  • È facile per noi immedesimarci nei due fratelli, ma ci sentiremo mai come il Padre? Ovvero una persona capace di provare un amore così forte, disposto a rinunciare alla propria libertà per gli altri e ad aspettare eternamente.
  • Come è possibile che il Padre si comporti così?
  • Il Padre può essere inteso come la (nostra) comunità, che si forma perché la base è il vitello ingrassato. Noi, in quanto figli, siamo continuamente in cammino per arrivare a consumare il vitello ingrassato. Nonostante le nostre differenze c’è qualcosa che ci accomuna: la nostra comunità.

A questo punto, dopo esserci immedesimati in entrambi i fratelli, e provato a metterci nei panni anche del Padre, abbiamo ragionato sui punti in comune, e sulla differenza tra i fratelli.

Abbiamo trovato più punti in comune tra i due fratelli:

  • Il Padre: resta per entrambi senza chiedere nulla in cambio
  • Entrambi non hanno capito il padre, entrambi sono persi, non si incontrano mai, non conoscono il Padre
  • Entrambi non sono rimasti nella casa: il minore parte, il maggiore rimane IN casa ma non NELLA casa (l’assenza anche nella presenza). Entrambi sono lontani nel cuore e fisicamente: entrambi sono assenti, mentre il Padre è sempre presente
  • Entrambi si sentono servi davanti al padre: il minore dice “trattami come un servo”, mentre il maggiore “io sempre ti ho servito”. Sono entrambi schiavi della logica del rendiconto
  • Entrambi rifiutano la paternità, e quindi non si riconoscono come fratelli
  • Nessuno dei due ama veramente il Padre, perché nessuno dei due è disposto all’assurdo della sua figura
  • Egoismo di entrambi: rivolti al benessere materiale e fisico
  • Entrambi hanno una colpa non morale, ma relazionale: non hanno conosciuto il padre.

Ma anche differenze tra i due fratelli:

  • Mentre il maggiore è senza umanità, il minore ha sentimenti, anche se “non ci arriva”
  • Mentre il minore è trasportato dagli eventi che lo portano lontano/fuori, il maggiore sceglie di restare fuori
  • Mentre il minore presenta una ingenuità della verità (va direttamente dal Padre), il maggiore ha sempre bisogno di scuse (si informa da un estraneo, come un ladro, sempre pronto a giudicare)
  • Mentre il maggiore è assente nella presenza (estraneo a casa sua), il minore è presente anche nell’assenza.

A questo punto ci chiediamo:

  • La parabola è senza finale: che cosa succede tra il Padre e il figlio maggiore? Il figlio maggiore entra alla festa? Il figlio maggiore è un figlio che si salva o è irrecuperabile?
  • Il figlio minore ha capito il valore e la forza del perdono? Ha capito l’importanza di tornare dal padre, di ritrovarlo e di prendere parte alla festa?
  • Chi scrive il finale? Cosa pensava Luca?
  • Perché il figlio maggiore è restato nella casa per servire il Padre e non ha preso la sua strada?
  • L’unica speranza è nel Padre?
  • Nessuno dei due conosce veramente il padre, né all’inizio, né alla fine. Se non si conosce, è possibile amare veramente?

SINTESI FINALE DELLE NOSTRE RIFLESSIONI

IL FIGLIO MINORE

L'allontanarsi del figlio più giovane non è un semplice “andare via da casa” ma è un esilio solitario verso un luogo lontano, con il quale si separa dal padre, dalla sua comunità e quindi anche dal Dio di suo padre e del suo popolo.

Con l'atto imperativo di richiedere la sua parte d'eredità, il figlio abbandona il padre, sancendone in pratica la “morte” in anticipo, autoescludendosi dalla paternità, dalla fraternità, in nome della propria autonomia.

Quando parte, materialmente possiede tanto ma in realtà è già vuoto, senza speranza, ancor prima di aver sperperato tutto.

Ed è quando si trova nel punto più basso, quando si trova coi porci a desiderare le carrube, quando pare aver perso l'identità di figlio, che in qualche modo è spinto a ritornare dal Padre. Ma da cosa è motivato questo ritorno? Dal fatto che ha fame ed è disperato oppure in realtà è spinto da un reale pentimento?

Quando decide di tornare, confonde il ruolo del padre con quello di un datore di lavoro che gli consente di mangiare: ciò testimonia la colpa relazionale del figlio, l'aver spezzato la relazione col Padre.

Nonostante questo, però, si può vedere nel ritorno una presa di coscienza di vita, l'inizio di un cammino di riconversione basato sulla fiducia/fede che a casa troverà un padre ad accoglierlo: così come liberamente se n'era andato, adesso sceglie, sempre in autonomia, di tornare sui suoi passi.

La fede forse sta proprio lì: nel rendersi conto di essersi allontanati e nel tentativo di rimettersi in cammino; nella fiducia che il figlio conserva, pur con i suoi dubbi ed i suoi timori, e che gli permette di spingersi a fare un tentativo per ritornare dal padre, o meglio, dal Padre di tutti noi.

IL FIGLIO MAGGIORE

La figura del figlio maggiore o meglio, del figlio “presbyteros” (anziano) entra nella parabola solo in un secondo momento, dopo il ritorno del fratello minore. È importante la traduzione dal greco, perché Luca definisce il fratello allo stesso modo in cui venivano chiamati al tempo i membri delle autorità religiose ebraiche colpevoli di non aver visto in Gesù il Messia: il fratello maggiore rappresenta quindi la religione vissuta come una serie di precetti, di comportamenti da tenere in cambio di un premio, cosa ben diversa dall'essere uomini e donne di fede, capaci di mettere sempre in discussione le proprie certezze e aperti alla novità portata da Gesù di Nazareth. Certo di aver sempre rispettato le regole, di aver servito il proprio padre, è convinto di meritarsi molto di più del fratello, si arrabbia col padre per la reazione avuta da questi al ritorno del fratello e non comprende perché si debba festeggiare un fratello peccatore: comportamento emblematico di chi si sente in credito verso Dio e verso gli altri, pronto a giudicare e condannare. Non comprendendone i gesti, dimostra di non aver mai appreso nulla dal padre con il quale non c'è una relazione padre-figlio ma piuttosto una relazione datore di lavoro-schiavo.  Il suo agire infatti è sempre stato frutto del compiere gesti abitudinari e forzati, mai consapevoli e voluti.

Il fatto che quando i fatti si svolgono il fratello anziano si trovi nei campi a lavorare non è casuale: all'inizio della parabola addirittura non c’è, ora è fuori casa. Pur essendo egli rimasto col padre, era lontano pur rimanendo vicino, era assente pur essendo presente, era “in casa” e non “nella casa”. È talmente estraneo dalla realtà in cui vive che chiama un servo per chiedere cosa sta succedendo: ha paura di essere coinvolto, dimostra di avere paura di andare a fondo alle cose, di affrontare il padre e la realtà di casa. Il ritorno del figlio minore poteva essere l'occasione per riprendere le relazioni col padre e con il fratello ma il figlio maggiore non la coglie, anzi, taglia ancor di più i rapporti, nonostante l’accorata supplica del padre.

IL PADRE

Il padre è il perno attorno a cui ruotano entrambi i figli: egli prende la sua vita e la distribuisce, la divide, la spezza tra i due figli, dimostrando un amore viscerale, senza ragione logica, un amore “a perdere”, che solo un padre o una madre possono sperimentare.

Davanti alle pretese del figlio minore, il padre dona tutto sé stesso, anche se concedendo questo sancisce di fatto la morte della sua paternità. Laddove noi ci aspetteremmo una punizione o un giudizio, il padre ci sorprende e contraddice la nostra logica da figlio maggiore, donando il perdono. Ci è molto difficile comprendere questo, abituati come siamo a ragionare pesando le relazioni su una bilancia.

Il fatto che perdoni subito i suoi figli, senza dare importanza a quello che hanno fatto o sbagliato in passato, senza aspettarsi la promessa di un miglioramento futuro, senza pretendere un sincero pentimento, ci sembra strano, senza senso.

Ma il padre si comporta come Dio fa con noi: non ha senso che ci perdoni sempre nonostante i nostri innumerevoli sbagli, eppure Lui lo fa comunque.

Ecco, quindi, l’invito di Luca: un invito a fidarci di questo Padre. La parabola vuole farci comprendere la bellezza di fidarsi di questo Dio che ci perdona sempre, la bellezza di vivere una vita nella fede, anche quando la vita non ha senso.

Ci rimane allora questa domanda: ci sentiremo mai come il Padre? Capaci di amare il nostro prossimo in modo gratuito, senza contare le cose che ci sono state fatte in passato o ciò che ci aspettiamo dagli altri in cambio? Ci sentiremo mai persone capaci di provare un amore così forte, disposte a rinunciare alla propria libertà per gli altri?

IL VITELLO INGRASSATO A FRUMENTO

C'è un personaggio nella parabola di Luca 15 che, ad una lettura superficiale del brano, passa in secondo piano: è il vitello ingrassato a frumento che il padre, anziché tenere da parte per le nozze del primogenito, fa uccidere per festeggiare il ritorno del figlio minore, inaccettabile per quei tempi e, soprattutto, inaccettabile dal punto di vista del figlio maggiore. Ma chi è quell'Uomo che, come il vitello, ha visto la sua vita spezzata e donata all'umanità? È Cristo Gesù, il Salvatore. Adesso come allora Cristo, rappresentato dalla figura del vitello ingrassato, è motivo di scandalo: così come il sacrificio del vitello, ordinato dal padre, è “ingiusto” nei confronti dei due fratelli ed è il culmine del dramma tra loro e con il padre stesso, ai giorni nostri può essere considerato altrettanto “ingiusto” a seconda che nelle nostre vite si voglia essere ricompensati come figli maggiori, o perdonati come figli minori.

Ed è a questo punto che per assaporare fino in fondo la parabola ed accettare l'invito al banchetto dell'Ottavo Giorno si deve però fare un passaggio ulteriore, andando oltre quelle che sono le logiche umane attuali: bisogna infatti ragionare sul fatto che il padre, ovvero il Dio Padre di tutti noi, è certamente ingiusto. Ma lo è a favore dell'umanità. La giustizia di Dio rispetto a quella dell'uomo è diversa, segue un’altra logica: certamente non è semplice entrare in quest’ottica, tanto che anche i discepoli faticano inizialmente a fidarsi: come può essere che il Figlio di Dio muoia in croce? Ma è proprio quell'evento, quell'ingiustizia “necessaria” (come la definisce Luca) pagata direttamente da Gesù sulla croce, quell’”ingiustizia” generata dal perdonare, che permette agli uomini di poter “far festa”, tanto quanto l'uccisione del vitello ingrassato a frumento ha permesso il banchetto in onore del figlio “che era perduto ed è stato ritrovato”.

Preghiera di contemplazione

«Padre, contro di te ho peccato e contro il cielo;

non son più degno che tu mi chiami figlio

fa` di me l’ultimo dei tuoi salariati».

Rendimi degno del più puro e santo

bacio del Padre tuo infinitamente buono.

Sotto il tetto della sala di Nozze

ti piaccia ricevermi di nuovo.

E con la veste iniziale della quale

briganti di strada mi spogliarono,

rivestimi ancora

come ornamento di Sposa preparata.

L’anello regale,

che è il segno di autorità,

fa` ch’io lo riporti nella mano destra,

per non deviare mai piú verso altre vie.

E come protezione dal Serpente

metti sandali ai miei piedi

perché nel buio non inciampino,

ma la sua testa possano schiacciare.

Al banchetto del vitello ingrassato,

che sulla Croce per noi s’è immolato

e al sangue uscito per la lancia dal Costato

donde usciva il ruscello della Vita,

fammi partecipare nuovamente,

come nella parabola del Figlio Prodigo,

per mangiare il pane che dà vita,

per bere alla tua celeste coppa...

Sulle tracce del figlio minore ho camminato

in paesi estranei e lontani;

l’eredità paterna ho scialacquato

che al Fonte Battesimale avevo ricevuto.

Laggiú straziato fui da carestia

del Pane della Vita e della divina Bevanda.

Pascolando il gregge dei porci, sfamato

non mi son con i peccati della dolce carruba.

Invoco il Padre tuo come il figlio più piccolo

anche se di figlio il nome al tuo cospetto,

dicendo: «Contro Te e contro il ciel peccai;

Padre celeste, non son degno di portare».

Accoglimi tra le braccia per esser da Te curato,

o Signore; rendimi degno del tuo santo bacio;

sostituisci, o Misericordioso, col tuo profumo,

quanto in me è segnato dalla morte!

Dammi la carne del Vitello ingrassato;

il vino che è sulla Croce fammi bere;

possa io cantare con tutte le creature,

perché, morto, la vita ho ritrovato.

                        [Nerses Shnorhali, mistico armeno - 1102-1173]


AUTORI:

Andrea Manzini

Andrea Quintavalla

Arianna Bertani

Aurora Miranda

Camilla Melegari

Camilla Larini

Caterina Bocchi

Chiara Ciarmela

Chiara Salati

Chiara Zambelloni

Davide Ciarmela

Enrico Zambelloni

Federico Larini

Francesca Dordoni

Ilaria Bonfanti

Ilaria Maini

Michela Monici

Roberta Zanni

Stefano Geroldi

Stefano Peri

 

Ritorno del figliol prodigo”, Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1668, Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo)

Il pittore riesce a rappresentare in modo chiaro l’anima recondita del racconto e le caratteristiche principali di ogni personaggio. Il padre ha il volto pieno di compassione e gli occhi pieni di un amore cieco: rappresentano Dio che ama l’uomo in modo incondizionato; egli appoggia le mani sulla schiena del figlio e possiamo vedere che ha una mano maschile e una femminile (è sia madre che padre); notiamo anche il contrasto tra i bei vestiti del padre e quelli rovinati del figlio minore. Quest’ultimo è appena tornato a casa, cerca conforto e perdono tra le braccia del genitore: ha l’aspetto di uno straccione ed è inginocchiato davanti al padre, disperato; affonda il viso nel petto del genitore, che lo accoglie protettivo ed amorevole. Il figlio maggiore sembra molto simile al padre, ma c’è una grande differenza: non accoglie il fratello, rimane in sé stesso, nell’oscurità.