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Quattro salmi d’Avvento (Apri la versione PDF)

Per lo studio e la preghiera personale

I salmi sono parole di Dio in parole di uomini e donne, sono scuola di preghie­ra ma anche scuola di umanità: l'umani­tà concreta con tutti i suoi sentimenti, le sue fatiche, le sue domande e le sue ricerche di senso per "salvare la vita". Nei salmi si parla a un "tu" che a volte sembra fare silenzio ma del cui amore, della cui presenza, della cui misericordia si resta saldamente convinti ... [Enzo Bianchi]

I Salmi, preghiera del popolo ebraico, preghiera di Cristo, preghiera della Chiesa, purtroppo solo raramente sono anche preghiera di noi cristiani. Non conosciamo il Salmi! Li sentiamo distanti, astratti, difficili, eppure hanno dentro l’uomo, tutto l’uomo, con le sue “notti” e con i suoi “giorni”. Un uomo che si lascia interpellare da Dio e, mentre cerca di rispondere, interpella Dio. Pregare i Salmi e coni Salmi non è semplice, occorre tempo e pazienza.

Qui trovi qualche indicazione per entrare nei quattro Salmi di Avvento. Chissà, forse potrebbero significare un nuovo inizio nella difficile arte del pregare così come Dio ci suggerisce in questi 150 stupendi poemetti.

Al termine di ogni Salmo, ho aggiunto una Preghiera personale, quasi un Salmo, per entrare nella Liturgia del giorno.

Ho seguito il commento di due bravi biblisti: Card. Martini (Salmo 121/122); L. Monti, monaco di Bose (Salmi 71/72 – 145/146 – 23/24: I Salmi, preghiera e vita, Qiqajon)[1].

La fatica e la pazienza dello studio – non si studia solo a scuola – siano compensate dalla Bellezza dell’Incontro.

 

Auguri di Avvento:

per una serena attesa del Signore che viene.

d Nando

Salmo 121/122

Avvento 1 [Is 2, 1-5: Salmo 121; Rm 13, 11-14; Mt 24, 37-44]

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.

Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.

[1] Introduzione: cosa sono i “Salmi delle salite”

     Sono detti “canti delle salite” perché per arrivare al tempio di Gerusalemme si deve salire in quanto Sion è edificato su un’altura di circa 800 metri (anche nel N.T. si dice sempre che Gesù sale a Gerusalemme). Secondo la legge ebraica (Deuteronomio) gli ebrei residenti in Palestina dovevano salire a Gerusalemme almeno tre volte all’anno, in occasione delle tre grandi feste: Pasqua, Sukkot (Capanne), Shawot (Pentecoste). L’Ebreo residente all’estero, anche in zone lontane, doveva salire a Gerusalemme almeno una volta nella vita. Ancora oggi per l’ebreo che vive in qualunque zona del globo è molto importante andare almeno una volta nella vita a Gerusalemme. Tutti là sono nati (salmo 87, 4-6).  Memoria forte, intensa che tutta la nostra vita è una ascesi, cioè una salita.

Lectio del Salmo 121/122

Probabilmente, parlando di Gerusa­lemme come città «costruita, salda e compatta», il salmista intende riferirsi alla città ricostruita dopo l'esilio.

  1. Quali sono gli elementi fondanti del salmo?
    • Anzitutto notiamo una inclusione, cioè una parola che ricorre all'inizio e alla fine: casa del Signore, dimora del Signore. «Andiamo alla dimora del Signore» (v. 1); «Per la casa del Signore» (v. 9).
    • Un altro elemento fondante è la menzione per tre volte di Ge­rusalemme (vv. 2.3.6), descritta nelle sue porte, nelle sue mura, nei suoi palazzi. Chiamata tre volte, delineata con tre caratteristiche e, inoltre, invocata con il pronome «tu»: «alle tue porte», «sia pace a chi ti ama»: un «tu» a cui si parla come fosse un amico, una sposa.
    • Ancora un elemento importante del salmo è che Gerusalemme è vista quale luogo di pace. Ben quattro volte ritorna questo termi­ne: «domandate pace per Gerusalemme», «sia pace a coloro che ti amano», «sia pace sulle tue mura», «su di te sia pace». Evidente il gioco di parole: «Gerusalemme» veniva interpretata quale «città dello shalom», della pace: sia pace alla città della pace, domandate pace per la città della pace… che non è mai stata in pace!
    • Infine, il salmo è caratterizzato anche da altre ripetizioni che gli imprimono un ritmo poetico, molto bello: le tribù, le tribù del Si­gnore; i seggi di giustizia, i seggi della casa di Davide. Insomma, un cantico, qualcosa che nasce dal cuore e, attraverso ritmi, ripetizioni, assonanze (sono tante nel testo ebraico) mette in luce un'anima innamorata di Geru­salemme.
  2. Cer­chiamo di capire lo schema del salmo, facilmente suddivi­sibile secondo le tappe di un pellegrinaggio.
    • Un pellegrinaggio viene anzitutto deciso; immaginiamo che il salmo sia cantato da un gruppo di pellegrini che arrivano alle porte della città; devono fermarsi per sbrigare alcune pratiche burocrati che previste prima dell'ingresso. Là si riposano e contemplano la cit­tà. Contemplandola, ripensano all'inizio del cammino, al momento in cui hanno deciso di partire ed è il v. 1: «Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore».
    • Dopo l'inizio, è immediatamente sottolineato l’arrivo: ora ci siamo, «i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!» (v. 2).
    • Al v. 3 la città viene contemplata dall'esterno, ammirata quale città costruita salda (unita) e compatta, in cui tutto è un'unità. È un riferi­mento alla città sul monte, che dà l'impressione di compattezza, sul­la roccia, e insieme alla situazione spirituale della città, salda perché fondata sul Signore, unificata dallo Spirito di Dio.
    • Quindi, Gerusalemme è contemplata nelle sue caratteristiche e nel suo ruolo (vv. 4-5). Si tratta insomma di una riflessione a livello morale: meta di pellegrinaggio, luogo di culto, di lode, di testimonianza della gloria di Dio; centro amministrativo e politico: «I seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide», casa a cui fu promessa la perpetuità.
    • A questo punto segue la preghiera che può essere pensata a due cori, partendo dal v. 6:

Capo-pellegrinaggio: «Domandate pace per Gerusalemme...».

Coro: «Sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi» (v. 7).

Il capo (riprende da solo): «Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: "Su di te sia pace!". Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene» (vv. 8-9).

Ritorna il «tu» davanti Gerusalemme, vedendola quale persona amica che si incontra e le si augura il bene, la pace.

Meditazione del Salmo 121/122

Tre piste per rileggere il Salmo

  1. Lettura storico-esistenziale: sono i grandi sim­boli del cammino umano contenuti nel salmo, che ne fanno una real­tà di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le culture. I principali so­no due.
    • Il pellegrinaggio, menzionato non quale tema specifico, bensì nel suo decidersi, nel suo compiersi. È un grande simbolo del cam­mino umano, della vita dell'uomo e dell'umanità, della vita di tutti gli uomini e di tutte le donne considerati come collettività.
      Il simbolo avverte: se la vita umana è colta come pellegrinaggio, non è un vagare senza scopo e neppure una fuga, priva di speranza; al contrario, è un camminare verso un termine. Questa è già un'apertura straordinaria per accogliere l'esistenza umana co­me una realtà che ha un senso preciso. E quando abbiamo ricono­sciuto che tale cammino ha un senso e una meta, scoppia la gioia: «Quale gioia...».
    • Gerusalemme è l'altro simbolo, che è la meta stessa del cam­mino. Un simbolo universale perché si tratta di una città, di un luo­go di incontro, un luogo di relazioni molteplici, dove i diversi si in­contrano. Quindi l'umanità non va verso una dispersione, una Babe­le confusa, ma verso un luogo nel quale tutti si incontreranno, si ca­piranno, intesseranno rapporti reciproci.
      Questa città è salda (unita), non delude. Il tema della saldezza è il più ri­preso dal Nuovo Testamento che non cita esplicitamente il Salmo 122, però ne riprende il contenuto: andiamo verso una città salda, solida, ben costruita, compatta, dove tutto è unità. Questo è il ter­mine del cammino umano.

      Ed è anche il luogo d'incontro armonioso e aperto con Dio, dove Dio è lodato, e dove c'è ordine perché la legge è fatta osservare, do­ve c'è il trono di giustizia e ci sono i seggi del giudizio. L'umanità va verso un luogo dove la giustizia - quella di Dio, non la nostra - trionfa. Dove, soprattutto, l'umanità spera di vivere l'ideale della pa­ce e della sicurezza: «Domandate pace per Gerusalemme…».
      Da questa visione nasce pure una certa pazienza storica: a noi spetta di porre le premesse affinché si vada sempre meglio verso la città, armoniosa, unita, capace di lodare l'Eterno, di vivere l'ordine della giustizia.
  2. Una lettura cristiana ci fa subito pensare a Gesù che ha vissuto profondamente la gioia del Salmo 122. Già a dodici anni aveva esclamato: Quale gioia ho provato ascoltando i miei genitori che mi dicevano: andiamo alla dimora del Signore! E probabilmente l'ha cantato alle porte di Gerusalemme in quella prima volta e poi ogni volta fino all'ultimo pellegrinaggio nel quale si avviava piangendo verso la città santa: «Oh, se tu riconoscessi ciò che giova alla tua pa­ce!».
    Dunque Gesù ha cantato questo salmo nella gioia e nella soffe­renza, sapendo che la sua sofferenza era parte del cammino di Geru­salemme e dell'umanità verso la pace.
    • L'aspetto di pellegrinaggio verso tale città è presente in particolare in Eb 11 e 12: Abramo, in tanto ha potuto partire e la­sciare tutto in quanto «aspettava la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (11,10); «Chi dice così, di­mostra di essere alla ricerca di una patria» (11,14).
    Riassumendo: l'uomo è in cammino, pellegrino verso una città salda, compatta, nella quale Dio è lodato e nella qua­le è la pienezza della pace, verso una città che non delude e per cui vale la pena abbandonare le altre città.
    • Nella spiritualità del N. T. è penetrato inoltre il pensiero delle moltitudini, di tutte le tribù della terra. Le moltitudini salgono ora verso tale città e tutte sono chiamate «moltitudini del Si­gnore».
  3. Lettura ecclesiale La Chiesa non è la meta, la grande città, ma è un popolo in marcia verso quella città. Perché, spesso, ci fermiamo a guardare cosa fa la Chiesa, gli sbagli che compie, è non teniamo d’occhio la meta!?
    Nella nostra meditazione potremmo porci qualche domanda.
    Siamo più preoccupati di guardare alla meta o agli sbagli che compiono quelli che camminano con noi?
    Se l’importante è la meta, allora tutte le altre realtà sono relative, tutti gli eventi (storici, sociali, politici, culturali, ecclesiali) vanno valutati tanto quanto rispondono a un cammino che io voglio compiere: condivido?
    La mia speranza in chi è posta? O in che cosa?
  4. La lettura più personale dà spazio a tante riflessioni.
    • Il desiderio di questa patria sia dentro di me e prevalga contro tutte le ripugnanze dell'uomo, della sensibilità così legata ai beni che non vor­remmo abbandonare.
    • Andiamo con gioia! È’ parola che esprime la tensione verso il pellegrinaggio, equivale a dire: sapevo che sarebbe venuto questo momento e penso a ciò che da sempre ho desiderato?
PREGHIERA PERSONALE

In questo tempo che passa, mio Signore e Maestro,
la Parola ci metti al corrente
del rischio di perdere di vista
chi siamo e perché ci siamo,
cosa ci facciamo in questo mondo.

E, non sapendolo,
ciascuno di noi un perché se lo inventa
fin che non arriva un diluvio,
a dirci che non bastano le opere delle nostre mani…

Siamo per strada, Signore,
per un cammino di ritorno a casa:
a questo deve servire il nostro faticare,
anche il nostro darci da fare,
il nostro soffrire,
e anche il nostro gioire.

Ma l’incontro con Te ci sembra lontano, astratto:
noi rischiamo di assopirci
sulle nostre quotidianità: a rassegnarci?!

Donaci, Padre, di imparare a costruirci uno spazio,
tra noi e Te: uno spazio
in cui le nostre fragilità ci parlano
e noi impariamo ad ascoltarle;
uno spazio in cui perdiamo le manie di onnipotenza
e impariamo l’arte dell’umiltà,
della essenzialità;
uno spazio in cui prendiamo coscienza
della bellezza faticosa del nostro lavoro,
a bellezza dell’amore, la bellezza dei figli,
la bellezza dell’amicizia, del perdono…

Uno spazio in cui impariamo a seguire Gesù Cristo
Tuo Figlio, nostro Fratello;
uno spazio in cui ancora possiamo sentire
il soffio dello Spirito che grida:
Non abbiate paura come chi non ha
uno spazio per un diluvio.

Salmo 71/72

Avvento 2 [Is 11, 1-10; Salmo 97; Rm 15, 4-9; Lc 3, 1-12]

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato.

Premessa

Questo Salmo, composto per la cerimonia di incoronazione del re d’Israele, invoca la benedizione di Dio sul re e sul popolo. Il Salmo inizia con una invocazione a Dio affinché abiliti il re a svolgere la sua funzione essenziale: giudicare con giustizia e diritto a favore dei poveri, dei miseri, degli oppressi del popolo. (vedi prima Lettura di questa domenica: Is. 11, 1-10).

IL SALMO NELLA RIFLESSIONE CRISTIANA

Anche se questo salmo non è mai citato alla lettera nel Nuovo Testamento, a esso fa allusione il racconto dei magi, partiti da oriente per cercare "colui che è nato, il re dei giudei" (Mt 2,2), il quale attira a sé tutte le genti: per questo il salmo è utilizzato in forma responsoriale per la solennità dell'E­pifania. Ed è proprio in virtù del v. 10 (e 15) del nostro salmo che al nome dei magi è tradizionalmente associato il titolo di "re".

I tratti universali del regno descritto nel salmo 72 sono quel­li intravisti anche dal vangelo dell'infanzia secondo Luca, come appare dall'annuncio dell'angelo a Maria: "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine" (Le 1,31-33).

Si possono inoltre ricollegare al nostro salmo queste parole di Gesù: "La regina del sud ... venne dagli estremi con­fini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone!" (Mt 12,42; Le 11,31). Su quest'ultima affermazione fa leva gran parte della tradizione cristiana, tra cui Agostino: Le parole del Salmo si adattano meravigliosamente a Cristo Signore.

LA CHIESA PREGA IL SALMO

La chiesa che così prega è assimilata da Ambrogio alla luna di cui parla il salmo. Essa "rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo, e prende il proprio splendore dal 'sole di giu­stizia' (MI 3,20), così che può dire: 'Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me' (Gal 2,20)". La chiesa è testimone e strumento del grande annuncio che costituisce un'ottima sin­tesi, in chiave cristiana, del nostro salmo: "In Cristo Gesù la benedizione di Abramo è passata alle genti" (cf. Gal 3,14)..

Ma in che modo la speranza presente nella visione del salmo 72, speranza che accomuna ebrei e cristiani, può riguardare il tempo presente in cui i credenti vivono? Certo, in Gesù Cristo vi è già stato un compimento, che rimanda però alla salvezza definitiva, attesa per la fine dei tempi.

Nel nostro oggi che fare dunque di queste immagini così luminose e consolanti espresso da questo Salmo? Risponde un pensatore contemporaneo:

Questa pace, questa giustizia, questa compassione sono offerte già ora a chi vuole viverle. Per lui, divengono soggetto di esperienza; grazie a lui, si inscrivono nella storia. Allora questa speranza può apparire sensata. E’ tutto? Lasciamo semplicemente la questione aperta per questa volta... (J.P.Jossua, Mona mou vien à moi).

La prospettiva aperta dal salmo 72 è forse solo un'evocazione nostalgica, solo un bel sogno (che in ogni caso - lo ripeto - ha avuto per i cristiani una prima realizzazione storica in Gesù Cristo): ma talvolta i sogni aprono la nostra mente a speranze di pace, giustizia e gioia che presto o tardi si realizzeranno. In ogni caso, l'umanità del Messia Gesù è stata tanto convincente e consolante che nemmeno in un sogno la si sarebbe potuta immaginare. La sua capacità di liberare e riscattare poveri, deboli, miseri e oppressi (cf. vv. 12-14) è stata la vera messianicità, per sempre: perché, in lui e con lui, non possiamo essere realmente messianici, cioè cristiani?

UNA LUCE INTENSA SUL NOSTRO BATTESIMO

Appena usciti dall’acqua, dopo l’immersione Battesimale chi presiede la Celebrazione unge il capo del neo-battezzato e prega così:

Dio onnipotente,

Padre del nostro Signore Gesù Cristo,
vi ha liberato dal peccato
e vi ha fatto rinascere dall'acqua e dallo Spirito Santo,
unendovi al suo popolo;
egli stesso vi consacra con il crisma di salvezza,
perché inseriti in Cristo,
sacerdote, re e profeta,
siate sempre membra del suo corpo
per la vita eterna.

Nell’immersione battesimale, dunque, noi siamo uniti, associati, formiamo un tutt’uno con Cristo (la parola Cristo nella lingua greca significa unto; nella lingua ebraica messia significa unto). Se dunque la prima Chiesa e poi tutta la tradizione cristiana ha letto il Salmo riferendolo a Cristo, lo possiamo tranquillamente pregare come riferito a ciascuno di noi: noi infatti siamo sacerdoti-re-profeti uniti a Lui sacerdote-re-profeta!!!

Possiamo concludere pregando così:

Non disprezzare, Signore, le vite
dei tuoi poveri (cf. Sai 73 [741,19).

Gesù Cristo, nostro Dio,
colui che il profeta ha cantato,
ci liberi dalla mano del tiranno (cf. v. 12)
e regni su di noi da mare a mare (cf. v. 8)

PREGHIERA PERSONALE

Il deserto: spazio sconfinato
di pietre e sabbia dove Tu, Dio,
come un amante deluso,
hai atteso il tuo popolo
per parlare al suo cuore,
per richiamarlo dalle sue lontananze.

Nel deserto Ti sei nascosto
e Ti sei rivelato:
per educarlo a scoprire una Presenza.
La sconfinata distesa di pietre e sassi
in cui ha risuonato la Parola del Tuo Profeta
è memoria del deserto che ci abita,
dentro e fuori di noi;
ma in questo spazio vuoto
può risuonare ancora una Buona Notizia:
perché Tu sei sempre innamorato di noi!

Signore, nell’attesa dell’incontro
“faccia a faccia”,
vieni a consolarmi,
Ti aspetto:
nelle mie lontananze,
solo Tu puoi tenere viva in me
la speranza che mai sarò deluso.

Salmo 145/146

Avvento 3 [Is 35, 1-19; Salmo 145; Gc 5, 7-10; Mt 11, 2-11]

Alleluia!

Felicità di chi ha come suo aiuto il Dio di Giacobbe,
come sua speranza il Signore suo Dio:
Lui che ha fatto i cieli e la terra,
il mare e tutto ciò che è in essi.[2]

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Alleluia!

Premessa

I cinque Salmi 146-150 – che iniziano e terminano con Alleluia! Così che ne risulta un Alleluia ripetuto 10 volte – richiedono di essere letti e cantati come un unico grande inno a Dio. Il tema enunciato alla fine di un salmo viene ogni volta ripreso e sviluppato nel salmo che segue. Nella liturgia ebraica vengono proclamati insieme ogni mattina. I dieci Alleluia possono essere accostati alle dieci parole con cui Dio ha creato il mondo: in Gen 1,1-2,4a “Dio disse” ritorna dieci volte. Ma possono essere accostati anche alle “dieci parole” dell’Alleanza al Sinai. Quindi creazione e alleanza poste sotto il segno della lode el credente al suo Signore.

Ascoltiamo S. Agostino nelle sue Esposizioni sui Salmi:

Ciascuno di voi sia interamente qui, per non essere qui. Cioè, sia tutto nella parola di Dio che echeggia qui in terra per essere afferrato da Dio ed elevato oltre la terra. Dio, infatti, è con noi affinché noi siamo con lui. Per essere con noi discese fino a noi; parimenti, perché noi siamo con lui, ci fa salire fino a sé ... Non disdegnò la nostra condizione di pellegrini, lui che, avendo creato l'universo, non è pellegrino in alcun luogo ... "Il Signore regnerà in eterno" (Sai 145 [1461,10)"! Godi perché lui regnerà in te; godi perché tu sarai il suo regno.

Proprio perché siano chiare le ragioni di questa felicità, il salmista espone dodici motivi (o meglio, undici più uno) che rendono affidabile il Signore. Detto altrimenti, le undici azioni elencate (con nove participi e due verbi finiti; vv. 6-9), un au­tentico compendio dell'agire del Signore narrato dalle Scritture, manifestano per l'ultima e definitiva volta perché il Signore è Re, ossia come egli regna.

Si comincia con la memoria della creazione: "Lui che ha fatto i cieli e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi", una ve­rità cantata dall'inizio alla fine della Bibbia. Tra l'azione creatrice e quelle salvifiche sta l'affermazione decisiva: "Mantiene la fedeltà in eterno", cioè "mantiene l'alleanza e l'amore", perché "tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà" (Sai 25,10).

Le nove azioni successive sono nient'al­tro che la traduzione pratica della sua signoria sulla storia, del suo amore fedele quale si manifesta nel concreto delle relazioni umane. Quali sono queste “azioni” che il Signore compie?

  • "Dà il cibo agli affamati". Questo, secon­do la lettera. Ma spieghiamo anche altrimenti. Abbiamo fame di Cristo, ed egli stesso ci darà il Pane dal cielo (Gv 6, 33.41.50.51).
  • Dacci oggi il nostro pane quotidiano" (Mt 6,11; cf. Le 11,3). Coloro che dicono questo, sono affamati; coloro che desiderano pane, sono affamati... Qualcuno pensa che il pane celeste si riferisca ai misteri [divini]. Senza dubbio intendiamo anche così, perché è veramente carne di Cristo, è veramente sangue di Cristo. Ma si può spiegare ancora al­trimenti. Il pane di Cristo, la sua carne, è la parola di Dio e l'insegnamento celeste.
  • "Il Signore libera i prigionieri", dando la remissione dei peccati a coloro che sono stretti dalle catene dei propri peccati. Di solito con queste espressioni si allude alla chiamata delle genti, alla venuta del Signore tra gli uomini e alla guarigione che tale venuta ha portato a tutti. Pensiamo alla memoria la profezia di Isaia relativa al nostro Salvatore, dove si dice: "Ti ho posto come alleanza del popolo e luce delle genti, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri" (Is 42,6-7).
  • "Il Signore ama i giusti". Come dice la Scrittura: "Io amo coloro che mi amano" (Pr 8,17). E ancora: "Quelli che mi onorano, io li onorerò" (1Sam 2,30). Essi amano me e io amo loro. Ma perché Dio ama i giusti? Perché la giustizia non è una prerogativa ereditaria, come lo è il sacerdozio in una famiglia di sacerdoti o in una famiglia di leviti. Se un uomo volesse diventare levita o sacerdote, non lo potrebbe, se suo padre non era né levita né sacerdote. levita né sacerdote. Ma se vuole diventare giusto, può diven­tarlo anche se è un pagano, perché i giusti non discendono da un casato, ma lo sono in quanto da se stessi e volontariamente amano il Santo - sia benedetto -, come sta scritto: "Esultate, o giusti, nel Signore" (Sal 33,1). Per questo si dice che "il Signore ama i giusti".

Ora, l'autentico commento a queste azioni del Signore consi­ste, da parte di chi è in alleanza con lui, nell'assumere in prima persona tale comportamento, nel farsi sue mani e suoi piedi. Del resto, cosa ha fatto Gesù se non ispirarsi a tale prassi, quale autentico "imitatore di Dio" (cf. Ef 5,1

È così che Gesù ha annunciato e vissuto il regno di Dio, me­diante il lasciar regnare il Padre su di sé e su quanti incontrava. Per questo poteva dire: "Il regno di Dio si è avvicinato" (Me 1,15). Ecco il vangelo, la buona notizia di liberazione che Gesù fin dall'inizio ha proclamato, nei fatti ancor prima che nelle parole, invitando chiunque voleva ascoltarlo a cambiare il proprio stile di vita grazie alla luce gentile emanata da questa buona notizia: "Convertitevi e credete nel vangelo" (Me 1,15). Dove, se non nel frammento della nostra fragile vita, il Signore può regnare? Sì, siamo incapaci di darci salvezza, ma possiamo vedere i nostri giorni terreni salvati dal vangelo. In questo sen­so, il salmo 146 è dunque anche "voce di Cristo al popolo", preghiera da lui rivolta affinché la lode a Dio dalle parole passi alla vita.

E’ così, per ora, che si compie la frase finale del nostro salmo: "Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, di ge­nerazione in generazione". Si compie oggi, nella gene­razione particolare di chi medita il salmo, di chi tenta di vivere il vangelo: "Cristo regni in noi ... [e] saremo re ... ponendo il nostro cuore nelle sue mani".

Come ultima l'affermazione l'unica espressa in negativo: "Il Signore sconvolge la via dei malvagi". Se nel primo salmo era il com­portamento dei malvagi a manifestare i suoi effetti - "Il Signore conosce la via dei giusti, ma la via dei malvagi si perderà" (Sai 1,6), da se stessa -, qui invece è il Signore a intervenire in pri­ma persona, ma sempre lasciando aperta la via al cambiamento, fino alla fine, come ha saputo cogliere con finezza Girolamo: "Si noti, non disperde i peccatori, ma la loro via".

Una paradossale traduzione pratica di questa verità mi pare il comportamento di Gesù: nel suo amare non solo i giusti, ma soprattutto i peccatori (cf. Mt 11,19; Le 7,34), egli ha allargato di molto la prospettiva del salmo 146; o forse, più semplicemente, ha sconvolto la via di quelli che si ritengono giusti (cf. Me 2,17 e par.; Le 18,9), e proprio per questo finiscono per essere malvagi, ossia ciechi (cf. Gv 9,41), cioè incapaci di sentirsi bisognosi di perdono, dunque di lasciar regnare Dio su di loro.

Agostino commenta il salmo nel suo insieme con un'annota­zione realistica propria di chi sa, per esperienza, quante distra­zioni sorgano nel cantare i salmi:

Fratelli, non è forse vero che già lodiamo il Signore, che ogni giorno gli cantiamo inni, che nei limiti delle nostre capacità ogni giorno ne risuonano le nostre labbra e il nostro cuore partorisce la lode di Dio? Cos'è mai ciò che lodiamo? Gran­de cosa è ciò che lodiamo, mentre è ancora fragile ciò di cui disponiamo per lodarlo. Come farà il lodante ad adeguarsi alla sublimità del lodato? Ecco, sta in piedi, canta a Dio qual­che inno di una certa lunghezza; spesso però, mentre le sue labbra si muovono al canto, il suo pensiero svolazza dietro a non so quali desideri. La nostra mente, quindi, era in certo qual modo intenta alla lode di Dio, mentre l'anima, distratta da brame di vario genere o dalle preoccupazioni degli affari, vagabondava qua e là. Ecco allora intervenire la mente. No­tando dalla sua posizione preminente questo vagabondare, si volge, per così dire, all'anima inquieta e in preda a fastidi e l'apostrofa: "Loda, anima mia, il Signore". Cosa stai lì a preoccuparti delle altre cose? Perché affannarti dietro a cose terrene e mortali? Sta' con me, loda il Signore.

Forse la distrazione somma da cui guardarci, la preoccupazione da evitare è il pretendere di lodare il Signore altrimenti che con la propria vita, o meglio il separare la liturgia dalla vita. Loda il Signore, cantandolo con la propria vita, chi si riconosce biso­gnoso del suo aiuto e dunque affida a lui, a favore degli altri, i propri pensieri, parole e azioni: questo ci ha insegnato a fare Gesù Cristo, così si regna insieme a lui.

Signore, che rialzi i curvati,
liberi i prigionieri
e illumini i ciechi,
rialza anche noi quando le cadute ci piegano,
liberaci quando i peccati ci avvincono
e illuminaci quando la nebbia dell'ignoranza ci circonda,
affinché la nostra anima sempre ti lodi
e la nostra vita inneggi a te
con fedele dedizione e umile servizio.

E poiché è tuo dono ciò che noi siamo,
ti serva tutta la nostra vita.

PREGHIERA PERSONALE

Non ho ben chiaro, Signore,
se io sto aspettando Te o qualcun altro.

Mi sento come Giovanni in carcere:
purtroppo il mio dubbio mi condiziona. 

Mi chiami alla beatitudine di chi si fida,
alla beatitudine di chi non si scandalizza,
alla beatitudine di chi sa stare in ascolto:
io, Signore, cerco altre beatitudini.

Signore, non è un Altro che dobbiamo attendere:
è l’attesa che deve essere altra.

Tu mi educhi a dubitare di me,
non della tua Parola e della tua promessa.

Tu vuoi aprirmi alla novità
e a mettere in dubbio le mie certezze:
Tu vieni per portare a compimento
le tue promesse e non le nostre attese. 

Sì, io sono arrivato – mi dici ancora oggi
io sono Colui che tutti attendevano
,
ma tu dovrai rendere la tua testimonianza,
come io ho reso pubblicamente la mia
:
tu ti devi fidare del Messia
che muore come tu dovrai morire:
fa parte della vita
.

E tutti noi, Signore, nel nostro dubbio,
possiamo solo sostare in silenzio… (pausa)
… e, se riprendiamo voce,
potrà essere solo per ringraziarti!!!

Salmo 23/24

Avvento 4 [Is 7, 10-14; Salmo 23; Rm 1, 1-7; Mt 1, 18-24]

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

[Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.

Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.

Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria].

Alzate, o principi, le vostre porte, sollevatevi, o porte eterne, ed entrerà il re della gloria… ben si intona con la IVa Domenica di Avvento: il Re della gloria sta entrando tra noi. 

Entrare nel luogo del Santo del Signore (v. 3). Siamo in presenza di un altro dei cosiddetti "salmi della porta". In esso si possono cogliere tre brani distinti (vv. 1-2, 3-6, 7-10), probabilmente autonomi in origine questi, uniti in un unico componimento, nella sua veste finale presentano una forte coloritura liturgica, cioè venivano cantati durante la liturgia.

Dopo un'acclamazione iniziale che riguarda tutto il cosmo (vv. 1-2), in occasione di una liturgia che prevede la processione dell'arca, dimora del Dio invisibile, il popolo giunge alle porte del tempio di Gerusalemme, "il luogo del Santo del Signore" (v. 3), situato sul monte Sion. Ai pelle­grini che domandano chi sia degno di varcare le soglie del tem­pio (v. 3), i sacerdoti rispondono indicando alcune norme etiche, riassumibili nell'integrità che coinvolge le azioni (le mani), i pensieri (il cuore puro) e le parole (il giuramento: v. 4). Il puro di cuore è colui che ha mani innocenti e parole sincere: egli cerca di accordare cuore, mano e bocca, coscienza, prassi ed eloquenza.

Vivere in questo modo significa lottare contro l'idolatria, "non volgere il proprio essere alla vanità", condizione che risuona con una particola­re forza nella versione latina: chi non accoglie a vuoto il dono inestimabile della vita (l'unica che ogni umano possiede!), chi non si lascia irretire nelle maglie di un'esistenza vuota, vana, finendo per sprecare i propri giorni... Chi "cerca il volto del Signore" (cf. Sal 27,8-9) attraverso questa prassi umana improntata a rettitudine è da lui benedetto e giustificato, mediante la sua misericordia che salva (v. 5).

"Il v. 6 non fa che ribadire il concetto del versetto prece­dente: soltanto chi viene al luogo santo da giusto cerca veramente la presenza di Dio; in caso contrario, il culto è vano e inutile.

Segue un ulteriore scambio di domande e risposte (vv. 7-10). Al popolo che invita ad aprire le porte del tempio al Signore, il "Re della gloria", i sacerdoti dall'interno chiedono per due volte una sorta di parola d'ordine: "Chi è questo Re della gloria?". "La ripetizione del versetto allude al ritorno della Gloria nel tempio, quando verrà il redentore". I pellegrini re­plicano fornendo due definizioni successive: è "il Signore forte e potente, potente in guerra"; è, più in breve, "il Signore dell'u­niverso"7. In tale contesto si comprende meglio l'acclamazione di apertura del salmo: colui che entra nel tempio alla testa del popolo è anche il Signore creatore della terra, dell'universo, il quale ha dato un ordine al cosmo, innalzandolo sul caos delle acque primigenie (cf. Gen 1,2.9).

Questo salmo ha conosciuto una straordinaria fortuna nella tradizione cristiana. Il tutto in virtù di un particolare appa­rentemente secondario, la variante: non sono le porte che devono alzare i loro frontoni, ma sono i principati angelici a dover sollevare le porte eterne, le porte del cielo, per consen­tire l'ingresso al Re della gloria. Dalla terra si passa dunque al cielo, a una liturgia che ha luogo nel tempio celeste. È facile intravedere nel Nuovo Testamento tracce di una rilettura di tale concezione in chiave cristologica:

Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della glo­ria ... manifestò l'efficacia della sua forza e del suo vigore in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e potenza (Ef 1,17.19-21).

Cristo ... entrò una volta per sempre nel Santo ... procurando una redenzione eterna (Eb 9,11-12).

In virtù della resurrezione Gesù Cristo è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i principati e le potenze (1Pt 3,21-22).

La tradizione patristica, e di conseguenza quella liturgica, ha dunque applicato il nostro salmo innanzitutto all'ascensione di Cristo. Ben presto però i padri hanno interpretato il salmo 24 in relazione ad altre due "entrate" di Cristo: il suo ingresso nel soggiorno dei morti attraverso la sua discesa agli inferi (cf. 1Pt 3,18-20), parte dell'unico e indivisibile mistero pasquale, e il suo ingresso in questo mondo mediante l'incarna­zione (lui che era disceso nel mondo all'insaputa delle potenze angeliche!). Quest'ultima lettura è strettamente intrecciata a quella relativa all'ascensione, i due estremi della vicenda umana di Cristo. Lo illustra bene lo stesso Giustino:

"Alzate, o principi, le vostre porte, sollevatevi, o porte eter­ne, ed entrerà il Re della gloria" (Sai 23 [241,7.9) ... Si tratta del nostro Cristo: è quando risorse dai morti e ascese al cielo che i principi a ciò preposti da Dio in cielo ricevono l'ordi­ne di aprire le porte dei cieli perché entri costui che è il Re della gloria e asceso al cielo "si sieda alla destra" del Padre "finché ponga i nemici come sgabello ai suoi piedi" (cf. Salmo 109) ... Ma quando i principi celesti lo videro senza bellezza, "apparso senza bellezza né gloria" (cf. Is 53,2), non riconoscendolo chiedevano: "Chi è questo Re della gloria?". Allora lo Spirito santo risponde loro sia a nome del Padre sia a nome proprio: "Il Signore delle potenze, questi è il re della gloria".

Infine, il salmo 24 (23) viene utilizzato da numerosi riti oc­cidentali, compreso quello romano, come salmo processionale proclamato la domenica delle Palme, prima dell'ingresso dei fedeli in chiesa. Ora, è interessante notare che la tradizione cristiana considera l'ingresso di Gesù, acclamato come Re, a Gerusalemme, di cui in tale domenica si fa memoria, come evocazione e simbolo della sua entrata nella Gerusalemme celeste, dalla quale uscirà per la sua venuta nella gloria alla fine dei tempi.

In tal modo questo salmo a prima vista così lontano da tali concezioni ci fa percorrere l'intera traiettoria del mistero del­la persona di Gesù Cristo. Forse l'interpretazione letterale del salmo e la sua ampia rilettura cristologica trovano un punto di incontro proprio nello stile di vita di Gesù: egli è sempre en­trato nel tempio con mani innocenti e cuore puro, grazie a una condotta risolutamente antidolatrica, cioè al non aver accolto invano dal Padre il dono della sua vita ("Tutto mi è stato dato dal Padre mio": Mt 11,27; Le 10,22).

Con lo stesso stile ha fatto il suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1), var­cando le soglie del tempio del cielo. E’ così che ha testimoniato che la terra e quanti la abitano appartengono a Dio; è così che ha cantato il salmo 24 indirizzandosi a quanti lo amano, in­vitandoli a conoscere la giustificazione e la salvezza della loro vita, già ora e poi per l'eternità, nella "via" da lui aperta, "la via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso ... la sua car­ne" (Eb 10,20).

È Gesù Cristo il Re della gloria che bussa alla porta delle nostre vite affinché gli apriamo (cf. Ap 3,20): glo­ria paradossale, non nella forza o nell'abbaglio mondano, ma in quella debolezza così forte che nasce dalla potenza dell' "amare fino alla fine" (cf. Gv 13,1).

Eleva, Signore, le porte del tempio che è in noi,
affinché siano porte eterne.

Il Cristo, Re della gloria,
entri attraverso di esse come nel cielo
e plachi le battaglie contro gli spiriti malvagi
affinché tutta la nostra terra ti appartenga,
insieme a tutti coloro che la abitano.

PREGHIERA PERSONALE

Oggi, Signore, ci chiami alla scuola di Giuseppe,
uomo giusto e silenzioso;
di lui non conosciamo una sola parola:
sappiamo solo che obbedisce ad un sogno;
perché Tu sei il Dio dei sogni
e solo nel sogno ti possiamo incontrare:
come dire che mai e poi mai potremo capirTi,
ma solo in un ascolto che ci parrà un sogno!

Giuseppe non è uomo giusto secondo la Legge,
è giusto davanti a Te,
perché ha i Tuoi stessi sogni:
Il suo nome significa “Dio-aggiunga!”.

E’ l’immagine dell’uomo finito, ma aperto all’infinito, desideroso dell’Infinito: con Giuseppe,
anch’io mi scopro un essere umano
che ha necessità di un’aggiunta.

E lì riveli a Giuseppe il Tuo Nome:
«Eccomi qua», come un tempo sul monte Sinai
Tu sei uscito ancora dalla Tua lontananza
e dalla Tua invisibilità,
facendoTi visibile e concreto,
raggiungibile:
«Sono il Dio-con-voi,
e Tu lo vedrai nel Figlio
che la Tua Donna porta in grembo».

Giuseppe fece … accolse:
come non ripensare alla professione di fede
pronunciata da Israele ai piedi del Sinai?! 

Allora Tu, Dio dei sogni
ma sempre presente nella storia,
hai consegnato le Dieci Parole a Israele,
gli hai chiesto se volevano essere Tuo popolo,
e in risposta il Tuo popolo Israele 
ha professato così la propria fede:
«Quello che Tu hai detto
noi lo faremo e lo accoglieremo
»?!.

E anche in noi, nei nostri sonni
o sogni inquieti che ci fanno compagnia,
Tu, Dio-con-noi, continui a “incarnarTi” e a ripeterci:
«Tu non temere! Io sono con te!

Vuoi essere mio popolo,
come Giuseppe, Maria, Abramo, Mosè, Pietro…?!»


[1] Strumento preziosissimo per lo studio, l’approfondimento, la preghiera personale e comunitaria. Da consigliare!

[2] Questa strofa non è inserita nella liturgia della 3° Domenica